Le armi in Kosovo tacciono, ma la pace è ancora tutta da costruire. Le grandi
potenze stanno dandosi da fare per disarmare tutti i contendenti mentre le grandi imprese
si "posizionano" per intervenire nella ricostruzione. Quindi, malgrado la pace,
restano molti dubbi sul futuro della zona che è stata interessata dalle operazioni
belliche.
Uno dei compiti della
Caritas (diocesana o parrocchiale) è educare alla pace. E' del tutto evidente, allora,
come a tal fine si debba far tesoro della vicenda della guerra in Kosovo, perché
la guerra non torni. La prossima volta, bisogna essere pronti a contrapporre efficaci
metodi di pace alla sbrigativa logica delle "bombe intelligenti"; bisogna cioè
credere nella funzione della politica, preparare una economia che favorisca la pace e
misurarsi sul campo della cultura.
Tutti sappiamo che non
basta solo la solidarietà - anche eroica - nei confronti delle vittime.
Oggi, quindi, ci sembra
più che mai doveroso destinare tempo e risorse non per preparare la guerra, ma per
costruire una mentalità di pace, trovando forme di tutela e promozione della pace e dei
diritti, rafforzando gli strumenti di dialogo e di sostegno non violento in favore di
tutte le popolazioni oppresse e dei loro bisogni negati di libertà e democrazia.
Pace significa anche
ricostruzione e da questo punto di vista la Caritas diocesana, assieme ad altre realtà,
cercherà di essere presente per dare concretezza alla volontà di tanti che hanno offerto
denaro o tempo a favore di quelle popolazioni.
Ma i popoli di quella parte della ex
Jugoslavia hanno si bisogno di pane e mattoni, ma anche di nuovi ideali di vita e
speranza. Non possiamo chiamarci fuori, né sentirci lontani o "in ferie":
bisogna continuare a chiedere una soluzione giusta per costruire una pace, vera con cuore
e mani di fratelli.
.