Rinascimento abruzzese
Dopo l'approccio con la Toscana
lo stile di Nicola, espresso in una
incontaminata freschezza gotica,
sperimenta e matura la grande lezione
plastica di Lorenzo Ghiberti
Testo di Ezio Mattiocco
Nicola da Guardiagrele, orafo, scultore, pittore,
"conosciuto come Dio, soltanto per le sue opere". Così, all'inizio del secolo,
scrissero di lui solo perché poco o nulla se ne conosceva; incertezze che circonfusero di
un alone di mistero e talora di leggenda l'immagine incognita del Maestro, la cui memoria
appena affiorava dalle brume del tardo Medioevo. Lo si fece nascere e morire in questo o
in quell'anno, qualcuno lo ritenne addirittura romano quando la patria, sempre dichiarata,
era Guardiagrele; si volle chiamarlo "Gallucci", mentre lui si firmava Nicola di
Andrea di Pasquale; gli si attribuirono capolavori, anche quando capolavori non erano,
tanto che si può ben dire che come ogni paesello d'Abruzzo rivendica il passaggio di
Annibale sotto le sue mura, così ogni chiesa e ogni
convento vanta un argento di Nicola in sagrestia. Fu il solo tra gli artisti abruzzesi del
passato ad essere ricordato dagli scrittori del suo tempo, celebrato e osannato poi dai
conterranei in versi e in prosa, fors'anche oltre misura. Qualcuno credette di ravvisarne
le
sembianze nell'ultima formella del paliotto e nel polittico teramano di Jacobello del
Fiore; un conterraneo del secolo passato ne ha dipinto tutte le opere ed un altro ne ha
perfino fissato l'effigie idealizzata in una pittura murale. Per lui si sono accese
polemiche e dispute talora feroci, per lui si son coniati epiteti encomiastici e forse
anche un po' troppo ridondanti, ma di certo fu un grande e, pur con sfumature diverse, su
questo tutti, o quasi, sembrano d'accordo. Prima ancora che orafo, il Vasari lo ricordò
come scultore, ma la questione dei lavori "in preta de la magella" a lui
riferiti è tutt'altro che risolta; sicuramente, però, fu il suo scalpello a dare forma
alla splendida "Incoronazione della Vergine" che troneggia sulla lunetta della
chiesa di Santa Maria Maggiore in Guardiagrele. Come pittore forse fu mediocre, ma eccelse
nell'arte dello sbalzo e del cesello, rivelandosi a partire dal 1413 col tabernacolo di
Francavilla al Mare, testimonianza illustre del suo alto magistero, cimelio prezioso
scampato come per miracolo ai saccheggi dei Turchi, alle ruberie delle soldataglie
francesi, alla cupidigia dei mercanti d'arte, alle rovine della guerra.
L'ostensorio di Agnone, la croce di Roccaspinalveti, il nodo dell'ex
collezione Pirri e la croce di Lanciano del 1422, forse il suo vero
capolavoro ancora pervaso di incontaminata freschezza tutta gotica, completano il catalogo
del periodo giovanile.
Poi, l'approccio con la Toscana e l'insegnamento del Ghiberti danno un nuovo corso alla
sua vicenda artistica: le croci di Guardiagrele,
dell'Aquila e di Monticchio ne fissano le tappe, il paliotto del Duomo di Teramo ne
riassume l'essenza, la croce romana del Laterano e il perduto San Giustino di Chieti, ne
concludono la parabola. Per l'arte abruzzese si apre la stagione della Rinascenza: il
messaggio raccolto dal Guardiese in riva all'Arno penetra tra le montagne fino al Sangro,
dove forse lo stesso Nicola, o forse altra ignota mano, traduce in pietra gli episodi
salienti della vita di Gesù, fissati in una serie di formelle esemplate come il paliotto
d'argento del duomo teramano alla Porta Nord del Battistero fiorentino.
È il tributo, forse modesto ma parimenti sublime, della terra d'Abruzzo a Lorenzo
Ghiberti e al Rinascimento toscano.
Sopra: Il recto della splendida croce eseguita da Nicola da
Guardioagrele nel 1434 per la cattedrale di San Massimo e ora esposta al Museo Nazionale
de L'Aquila
Nella pagina accanto: tre medaglioni smaltati, recuperati, con pochi altri frammenti, da
quello che resta della croce di San Maria Maggiore di Guardiagrele (1431), rubata e
smembrata nel 1979
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