Una
favola di terre lontane
Testo
di Antonella Ulisse Foto di
Gino Di Paolo |
. Le
gale di tela color avorio corrono sul prato, l’ossigeno che si
sprigiona dall’erba, complice il sole, rende candida la fitta
trama di lino e cotone. Maria le ha tenute immerse a lungo nell’acqua
calda del tino: sceglie la cenere più bianca mentre, al mattino
presto, rassetta il focolare, nella casa silenziosa. Sa preparare
ad arte la liscivia vergine ed il sapone, tozzi lividi e difformi
che sanno di soda, sugna ed olio.
Così il bucato viene bianco ed odoroso, anche quello della
Signora: le ampie camicie da giorno e da notte, con la pistagnina
ricamata a pulcetto, un punto lanciato usato anche a Venezia e che
qui, a Canzano, è chiamato saracino; la battuta del lenzuolo con
l’amorino e le cifre; le lunghe tovaglie ricamate dalle suore
cappellone di Teramo, che conservano la tradizione delle corti e
ancora sanno lavorare un filo di seta sottile su stoffe leggere e
trasparenti. Maria scruta veloce i disegni, manda a memoria
intrecci e trafori, conta i fili, segue con la mano linee e
volute, rovescia la tela: non si distingue il dritto dal rovescio.
A maggio, per la Madonna dell’Alno, la Madonna del pioppo
bianco, anche sulla sua tela correrà un fremito di piccoli punti
precisi e fitti; col guadagno del cortile vuol comprare la
sfilatella migliore, quella di marca straniera, con i colori
brillanti e solidi, e il filo lucido e ben ritorto.
Un brandello di tempo ritrovato, a Canzano, un paese dove la
tranquilla laboriosità delle donne e l’arte di saper attendere
a lavori che esigono attenzione, meticolosità e pazienza hanno
permesso la sopravvivenza di tradizioni secolari. Anche in cucina,
dove le canzanesi fanno sobollire, nel forno, per una notte
intera, la tacchinella, che assorbe l’aroma delle erbe nel brodo
delicato e, con mano esperta, fanno sbocciare un torrone morbido e
soave, che sa di cacao e spezie, degli umili fichi seccati al
sole.
Le donne di Canzano, dotate di sensibilità e gentilezza d’animo,
attratte dall’innata malìa della bellezza, abituate a
contemplare le archeggiature, i nastri decoratvi e le mirabili
ornamentazioni di capitelli, altari e portali, hanno mantenuta
viva la sapienza di esecuzioni di squisita finezza: il filo, tra
le loro agili dita, si fissa in forme delicate, tenui e vaporose.
L’antica arte gentile del ricamo, di ornare ed impreziosire i
tessuti, espressione spontanea di arcaica perizia, di rimandi
misteriosi a terre lontane, diventa a Canzano una significativa
realtà presente, proiettata nel futuro, da quando la giovane
maestra Editta, nelle sue classi elementari, intorno agli anni ‘50,
avvia un corso di ricamo, dove illustra i punti più suggestivi ed
apprezzati. L’ago e la pezza si affiancano al sussidiario,
facili e precise escuzioni si alternano alle prose di Ippolito
Nievo. La maestra Editta insegna il ricamo a fili contati, il
croce, l’assisi: ricami antichi ed amati, dove l’intima
affinità del punto con il suo fondo, la tela, determinano essenza
e bellezza. Le fanciulle sanno che il punto a croce appare nei
ricami di quasi tutti i paesi del mondo e si ammira sui costumi
tradizionali delle donne slave ed orientali, ricamato a colori
sgargianti; un punto che risulta da due punti obliqui che si
intrecciano nel mezzo e che, tranne poche eccezioni, si lavora in
due giri.
La maestra racconta della mistica e silenziosa campagna umbra
mentre insegna il punto Assisi, un punto che, al principio del ‘900,
una nobildonna assisiate riprese da antichi ricami conservati
nelle chiese: un punto decorativo che corre su primitive linee
geometriche, ispirate a mosaici, legni scolpiti, ad intarsi su
cori e pulpiti. Le ragazze di Editta imparano anche l’arte
maggiore, il disegno, irrinunciabile supporto del ricamo e, sulle
tele color avorio, imprimono motivi zoomorfi stilizzati, fregi
fantastici, ricamati nell’azzurro e nel ruggine tradizionali.
Inoltre, in Persia ed in tutta l’Asia esisteva un punto che
veniva lavorato, forse dagli uomini (come in Italia nel Medioevo,
quando i ricamatori formavano una forte corporazione), su garze
trasparenti con sete colorate. Il punto orientale si diffuse nelle
contrade del Nord e prese il nome da un lindo borgo nascosto in un
fiordo della Norvegia occidentale: Hardanger.
Il punto di ricamo, di esecuzione facile e rapida, dà vita a
decorazioni molto elaborate e prevede un lavoro di sfilatura, aghi
senza punta, piccole forbici ben affilate e sottintende la
conoscenza di altri punti, dal reale per le parti piene del
disegno, al punto rammendo.
Oggi a Canzano, nelle quiete stanze di palazzo De Berardinis, l’opera
della maestra Editta Serpente continua con invariato vigore ed
estrema passione. Le fanciulle sono diventate nonne e riuniscono
figlie e nipoti in un’associazione che opera da circa dieci
anni. Due giorni a settimana, il martedì le piccole, il giovedì
le adulte, ci si riunisce nel laboratorio, si imparano nuovi
punti, si ricordano il bizantino, la filza, l’antico e le bimbe
ripercorrono i sentieri delle contrade lontane dell’Asia e del
Grande Nord.
Ad agosto i bianchi involti di carta velina si aprono e i sogni di
terre lontane sono esposti alla Mostra del Ricamo e del Merletto
che per quindici giorni anima l’antico palazzo, giusta cornice
agli intrecci preziosi di refe, ai motivi e alle figurazioni dei
ricami nella sezione dedicata alla terza età; alle fatture
mirabili della scuola Ars et Labor e agli incantamenti offerti
dalla signora Irene Marinelli, che ha saputo rintracciare, in
tutta la regione, la rigogliosa ricchezza di antichi e nobili
corredi femminili, frutto dell’opera fervida e fantasiosa, dello
studio paziente e amoroso delle nostre donne, fonte di ispirazione
per le generazioni future. |
|