Bianco
e leggero come la neve
Testo
di Camillo Chiarieri Foto
di Gino Di Paolo |
. Benché
presente, almeno a livello di pratica familiare, e in forma
sporadica, su tutto il territorio regionale, la lavorazione del
merletto a fusello sembra diffusa soprattutto nell’Abruzzo
montano. Pescocostanzo, Scanno e L’Aquila sono infatti i maggio
ri centri di questa forma raffinatissima di artigianato femminile.
Le ragioni della precisa collocazione geografica dello sviluppo di
questo tipo di artigianato artistico potrebbero essere legate sia
a fattori ambientali che antropologici: sottratte per molti mesi
al lavoro dei campi dai lunghi inverni delle alte quote, le donne
delle località montane hanno avuto più tempo da dedicare a quest’arte;
inoltre, la ricchezza di questi paesi creava una tale quantità di
committenza da permettere alle donne di dedicarsi quasi totalmente
alla creazione di corredi.
Il prodotto abruzzese aveva un mercato vastissimo: esso era
ritenuto il migliore, il più bello, il più raffinato di tutto il
Regno di Napoli. Una buona testimonianza della considerazione di
cui godevano i nostri pizzi la offre la storia della scannese
Colomba Mancinelli, che tra il Settecento e l’Ottocento,
insegnò tessitura e tintura di panni nella Real Fabbrica
Borbonica di San Leucio, presso Caserta.
Il merletto a fuselli viene lavorato sul tipico cuscino cilindrico
chiamato tombolo. Sopra di esso viene posto il disegno da
riprodurre e da lì, in un magico intrecciarsi di fili, con le
mani che spostano, velocemente, contemporaneamente spilli e
fuselli, i disegni prendono forma, rivelando universi fatti di
figure lievi e sottilissime come il filo di cui sono tessute. Si
procede facendo compiere ai fili arditi giri attorno agli spilli,
lavorando seguendo la stessa procedura che un tempo si usava per
tessere: due coppie di fuselli governano l’impianto generale,
mentre le altre (in genere non vengono usate meno di sei coppie)
vengono utilizzate per definire il disegno.
Le varie forme composte sul tombolo vengono poi unite insieme da
un uncinetto, in modo da ottenere, finalmente completate,
composizioni compatte, sempre precise, che nascondono, sotto un’apparenza
fine e delicata, una insospettata resistenza.
Due dei luoghi dove maggiore è la perizia raggiunta dalle
merlettaie sono Scanno e Pescocostanzo, anche se le origini dei
ricami sono diverse: mentre le creazioni scannesi sono autoctone,
quelle pescolane risentono delle influenze lombardesche che ebbero
peso, del resto, anche sulle altre espressioni artistiche della
cittadina, dopo che una colonia lombarda stabilitasi in questo
centro vi radicò le proprie tradizioni. Anche le tipologie di
esecuzione dei ricami sono diverse: mentre il ricamo di
Pescocostanzo è a filo continuo, quello di Scanno non lo è;
mentre nel primo paese il filo utilizzato è di un lino molto
grosso, quello scannese è di cotone molto sottile.
Inoltre, a Pescocostanzo vengono utilizzati da un minimo di sei
coppie di fuselli per il pizzo rinascimentale ad un massimo di
trenta per quello sciolto, mentre a Scanno si va da un minimo di
tre ad un massimo di dodici: le mani esperte delle ricamatrici
sono in grado di gestire quindi dai sei ai sessanta fili senza
ombra di esitazione, e spesso senza l’aiuto del disegno. Il
cuscino cilindrico su cui si lavora, il tombolo, fa ancora
immancabilmente parte del corredo nuziale di ogni giovane donna di
questi paesi. Tombolo e sceda, del resto, fanno parte della
cultura materiale (e non solo) di ognuna, fin dall’infanzia. E
se prima erano le nonne, le mamme e le zie ad insegnare fantasia,
velocità e pazienza alle giovani generazioni, con la
realizzazione di una serie di schede-modello (da cui il termine
sceda) sulle quali costruire preziose creazioni ornamentali, ora
si sono assunte questo compito anche le scuole, tra cui la Scuola
comunale di merletto a tombolo di Pescocostanzo. Istituita nel
1992, essa si è posta l’obiettivo di mantenere, accrescere e
tramandare un patrimonio femminile che non è solo risorsa
economica, ma soprattutto identità culturale.
Punto dopo punto, motivo dopo motivo, con una aerea tessitura che
rende unico il merletto a tombolo rispetto a tutti gli altri
simili, dall’intrico di fili di lino o di cotone (ma si racconta
che una volta si lavorassero anche la seta e l’oro) sbocciano
fiori, uccelli, animali fantastici, cuori, bambole, disegni
geometrici e segni simbolici e magici, che costruiscono insieme un
linguaggio allusivo, segreto e comune allo stesso tempo. E la
fantasia diviene bordura a pinti, pizzo a scaluccia, trina a sette
fronde, come tanti secoli orsono, quando, nei freddi e lunghi
inverni di montagna, le donne si riunivano davanti al focolare e,
mentre creavano figure di mondi fantastici sui loro tomboli,
raccontavano antiche storie o recitavano rosari.
Perciò questa antica arte non è solo passato: le scuole sono
piene, non solo di signore adulte, ma anche di bambine e di
giovani donne che da sempre hanno visto le antiche lenzuola e
tovaglie del corredo nuziale della nonna, o ricordano direttamente
di quando guardavano, affascinate, le anziane che traevano forme
precise dall’apparentemente caotico movimento di fuselli, mani e
spilli.
I corredi nuziali delle nonne sono giunti fino alle nipoti di
oggi, e rappresentano una eredità, il ricordo del lavoro paziente
delle giovani spose di un tempo: sogni di una vita coniugale
felice che si esprimevano attraverso quei ricami fatti con cura. A
quell’antica suggestione non sfuggono le giovani pescolane e
scannesi di oggi, e anch’esse ripetono gli antichi gesti dell’intrecciare
i fuselli per testimoniare l’amore del loro sposo e per dare
ricordo di questo amore presso le loro figlie. |
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