Al contrario di quello che si
pensa,
nel "normale sentire" fare versi
e' un degradarsi, e' un tornare al mestiere
antico del buffone, del giullare,
del servo-precettore dentro i nidi
dei nobili, che quando affatturati
dal suo parlar danzato lo imitavano,
significava che degeneravano.
"Una fama raggiunta con la penna
anziche' con la spada - scrive un bretone
visconte letterato di suo padre -
l'avrebbe ucciso peggio d'un insulto".
Ecco dunque perche' sono tuttora
un poco comiche e come randagie (1)
le compagnie di versificatori
(in questo non diversi dagli attori).
Eppure quanto provochi piacere
passare il tempo fra parole ed echi
magari sillabati ad alta voce
solo chi gli si da' lo puo' sapere.
(1) "Chi si diletta di andare scalzo e
ignudo trasformandosi d'uomo in
Camaleonte, diventi cantor di rime... Il mio messer Ambrogio da Milano,
come vede uno con la cappa scotonata, stendendo il dito dice: 'Colui
debbe esser poeta ' ".