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D'Abruzzo

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La memoria dell'antico
Non una, ma due chiese costituiscono il complesso valvense a Corfinio. E ognuna crea un suo stile autonomo e originale

Testo di Damiano Venanzio Fucinese
Foto di Giovanni Lattanzi e Andrea Papa

Sotto l’anno 1075, il Chronicon casauriense riferisce che l’abateAffresco del catino absidale di Sant'Alessandro, raffigurante il Santo in abiti pontificali tra due angeli (sec. XIV) Trasmondo, contemporaneamente vescovo di Valva, inizia la riedificazione della cattedrale valvense dedicata a San Pelino e della consorella sulmonese intitolata a San Panfilo. Con cinque anni di anticipo sulla ricostruzione della chiesa abbaziale di San Liberatore alla Maiella, voluta dal grande Desiderio di Montecassino, presso i resti dell’antica capitale italica sorgeva così uno dei più insigni complessi romanici della regione.

La renovatio cade in un particolare momento storico ed assume un suo significato emblematico che cala l’episodio peligno nel vivo della temperie politica dell’età di Gregorio VII.

Trasmondo, della nobile famiglia dei Conti dei Marsi, si staglia nella storia della diocesi come una figura di tutto rilievo: era pupillo di Ildebrando di Soana prima ancora che divenisse papa, godeva dell’amicizia di Alfano di Salerno, uno dei più celebrati letterati del momento che gli indirizzò anche un’affettuosa epistola metrica, tenne fieramente testa al normanno Ugo Malmozzetto che spadroneggiava nella zona, per cui ebbe a soffrire, tra l’altro, una dura relegazione.

In una parola, il presule incarnava alla perfezione gli ideali di riforma propugnati da Gregorio che facevano capo al concetto della Libertas ecclesiae nei confronti dello strapotere e dell’ingerenza laica.

La nuova cattedrale sorse su un’area ricca di presenze antiche, tra i resti di tombe di cui si ammirano ancora le colossali strutture; la stessa imposta sui ruderi di una sepoltura romana. Ma la chiesa di cui Trasmondo aveva posto la prima pietra nel 1075 non fu portata a termine. La costruzione, assunse nel 1092 la forma attuale che consiste in un transetto absidato privo di navate, cui fu dato il nome di cappella Sancti Alexandri e in una torre non campanaria ma di difesa, considerato l’isolamento in cui l’edificio veniva a trovarsi. Ci sfuggono le ragioni per le quali la costruzione venne interrotta e fu destinata a diventare un’appendice dell’attigua successiva cattedrale di San Pelino, mentre è certo che essa rappresenta, in tutta l’area romanica, il monumento in cui traspare più che in ogni altro la decisa volontà di perpetuare la memoria dell’antico. Non è il caso di enumerare scrupolosamente il materiale erratico che i lapicidi valvensi utilizzarono per il rivestimento dell’esterno, che è veramente notevole, mette conto invece di rilevare che il concetto di antico, a Corfinio più che al recupero di una generica dignità romana, mira all’esaltazione dell’antica gloria della città italica che fu capitale dei confederati contro Roma. Questo ricordo raffigurava, inoltre, l’autorità presente della cattedrale valvense nei confronti della rivale sulmonese, tanto più che essa fu una sede vescovile senza città.

Nel Sant’Alessandro non solo i capitelli e le lastre decorate sono collocate nel dovuto rilievo, ma soprattutto le lapidi, intere o lacunose che siano; non c’è concio riutilizzato che non porti il segno di una precisa volontà di reimpiego. Spesse volte anche un frammento con una sola lettera (o addirittura parte di essa) appare sempre perfettamente riquadrato e posto quasi come una venerabile reliquia nel contesto accurato dell’apparecchio. Mentre, nella decorazione scultorea, ove pur ricorrono insistentemente gli elementi del repertorio classico (dentelli e fuseruole delle cornici), si palesa inequivocabilmente tutta la cultura dei lapicidi del secolo XI, che documenta la vitalità di programmi iconografici saldamente radicati nella tradizione.

Insieme con le lapidi e le cornici perfettamente modanate, che un occhio non esercitato scambierebbe per classiche, convivono motivi rigorosamente geometrici: croci uncinate, rosette, trecci e croci longobarde. Ai longobardi rimanda ancora l’unica figura rintracciabile nell’intera decorazione. Si tratta di un San Michele Arcangelo di cui gli invasori erano devotissimi adoratori.

Trasmondo morì tra il 1079 e l’80 e non è escluso che già sotto di lui si dette inizio alla costruzione dell’attigua cattedrale, prima ancora del completamento di Sant’Alessandro. Dal 1082 al 1102 resse la diocesi il vescovo Giovanni, ma i documenti a nostra disposizione non accennano alla benché minima attività edilizia da parte sua; perciò il merito di aver condotto quasi a termine i lavori spetta al suo successore Gualterio (1104-1128) che, secondo il De Matteis "die’ mano alla fabbrica per la nuova chiesa di San Pelino, accosto a quella di Sant’Alessandro (...) che nel 1124, vide completata".

Alla data della sua consacrazione, tuttavia l’edificio non era completo se non internamente, poiché il rivestimento esterno di cui restano gli splendidi esempi pressocché intatti sul fianco destro, furono eseguiti nella seconda metà del secolo, nello stesso torno di tempo della riedificazione di San Clemente a Casauria, realizzata dall’abate Leonate tra il 1176 e il 1182.

Dalla rifondazione di Trasmondo è ormai trascorso un secolo intero , durante il quale molte cose sono cambiate, non ultima il modo di porgersi nei confronti delle testimonianze antiche e la lezione che da esse traggono i lapicidi e gli scultori del secolo XII. Può meravigliare che nella cattedrale valvense , a differenza dell’attiguo Sant’Alessandro, la memoria dell’antico, quantificabile attraverso la presenza di materiale di spoglio, è di gran lunga inferiore, specie se si considera la diversità della mole. La verità è che ora la memoria dell’antico, superata la fase documentaria, viene ad assumere una valenza del tutto nuova, per cui l’antico cessa di essere una reliquia da venerare e si tramuta in fermento culturale.

In altri termini, le antiche sculture hanno fatto scuola come opere d’arte soprattutto, e non solo come freddi documenti storici e il loro impulso fu tale da determinare una cultura comune che, da Corfinio, si estende a Sulmona, già da allora il massimo centro della Valle Peligna si insinua nella Valle del Pescara, fino a raggiungere l’abbazia casauriense, sul tracciato delle antiche relazioni, da sempre intercorse, dei due centri religiosi.

Tornando alla cattedrale valvense, in cui la cultura dell’antico si rivela, più che altrove, in tutta la sua vitalità, un semplice confronto tra le decorazioni degli archetti pensili del Sant’Alessandro con quell e della cattedrale rivela senza possibilità di equivoci, unitamente alla perfezione tecnica, un livello qualitativo difficilmente rintracciabile altrove nella stagione matura dell’architettura romanica della regione. E mentre le tre Madonne col Bambino, presenti a Sulmona, Casauria e Corfinio fanno fede della linea culturale comune ai tre centri, le decorazioni esterne della cattedrale valvense rappresentano certamente un unicum.

Lo stesso ambone corfiniese si differenzia dal gemello casauriense, indipendentemente dalla priorità dell’uno sull’ altro e viceversa e malgrado le manomissioni dovute alle ricomposizioni, per una sua essenzialità, sia formale che decorativa.

Le decorazioni del portale che giocò il ruolo di capostipite non solo per altre chiese abruzzesi, ma anche per alcune dell’Umbria meridionale, trova il suo modello in tre lastre antiche murate nella torre di Sant’Alessandro, così come la splendida aquila ad ali spiegate della navatella di sinistra e le carnose foglie di acanto sia dei capitelli che degli archetti pensili, presuppongono la conoscenza diretta di prototipi antichi.

 

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