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D'Abruzzo

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E Trasmondo fece Pentima...
La gloria di Corfinio era quasi tramontata, quando sulle rovine della capitale della Lega Italica, per opera di un abate orgoglioso sorse una nuova città

Testo di Alessandro Clementi
Foto di Giovanni Lattanzi e Andrea Papa

"Dopo il vescovo Domenico successe nella cattedra di ValvaCatino absidale di Sant'Alessandro: affresco tardotrecentesco, di ignota mano, raffigurante Sant'Onofrio eremita tra Sant'Anatolia, Santa Caterina (a sinistra) e San Giovanni Trasmondo fece Pentima". Così in un’antica pergamena del XI sec. pubblicata dall’ Ughelli nel sec. XVII.

Intorno alla seconda metà dell’XI secolo, dunque, nacque Pentima ad opera di Trasmondo sulle rovine di quella che era stata la città di Corfinio. La attuale piazza che stranamente offre al visitatore l’abside della chiesa di S. Martino, era l’antico teatro romano ma il borgo chiuso a castrum fortificato aveva altre logiche costruttive: a chi scende per andare o verso L’Aquila o verso Sulmona, lungo la Tiburtina Valeria, appare in tutta la sua possanza il castrum fortificato contro le aggressioni possibili dalla parte del mare attraverso quella fenditura tra Gran Sasso e Morrone che sono le gole di Popoli. Altre logiche costruttive si diceva. Trasmondo, il vescovo di Valva ed abate di S. Clemente a Casauria (quali orizzonti di potenza!), era figlio di Oderisio conte dei Marsi e fratello di Oderisio abate di Montecassino e di Attone vescovo di Chieti. Un bell’intreccio indubbiamente.

Trasmondo è tanto potente da poter fondare un castrum come quello di Pentima. Perché lo fece? Anno 1073: muore il papa Alessandro II e viene eletto papa Gregorio VII (sì proprio lui, ovvero quegli che umiliò l’imperatore Enrico IV). Anno 1074 Gregorio VII nomina Trasmondo vescovo di Valva ed abate di S. Clemente a Casauria. La storia personale di Trasmondo era stata ricca di risvolti. Trasmondo proveniva, infatti, da una contestata esperienza di abate di Tremiti, dove era stato inviato da Desiderio abate di Montecassino, in quanto quei monaci si erano allontanati da una via di rettitudine.

Trasmondo aveva usato la maniera forte: aveva fatto accecare tre di essi ed aveva mozzato la lingua ad un quarto. Desiderio avrebbe voluto punire questi eccessi, ma vi si era opposto il monaco Ildebrando, il futuro Gregorio VII. Divenuto papa, Ildebrando utilizza Trasmondo per una operazione di consolidamento della posizione politico-militare dell’abbazia di Casauria. È del marzo del 1074 una sentenza di scomunica contro tutti i Normanni invasori dei beni di Casauria che Gregorio VII lancia, evidentemente su suggerimento di Trasmondo. È sentenza che illumina anche tutta la politica svolta da Trasmondo. Egli infatti si adopera per realizzare una serie di fortificazioni, quali quelle dei castelli di Petronace, di Popoli e di Bucchianico. Ma unisce anche il monastero-fortezza di S. Benedetto in Perillis, arditamente arroccato sulle balze che guardano la gola dei Tremonti, passaggio obbligato per la penetrazione dalla zona marina abruzzese verso l’entroterra.

Accanto a questa realizzazione dal chiaro taglio militare, Trasmondo svolge anche iniziative che valgono a consolidare, pur dal punto di vista politico-religioso, la potenza ed il prestigio congiuntamente della abbazia di Casauria e della Diocesi di Valva. Restaura infatti la cattedrale di S. Pelino ed essendo questa una specie di cattedrale nel deserto, vi fonda accanto il castello di Pentima (l’attuale Corfinio). Restaura anche la pieve di Sulmona che si avviava a divenire anch’essa cattedrale. Azioni sinergiche che valgano a contrastare l’avanzata dei Normanni che risalgono minacciosamente la valle del Pescara.

Punto di forza, il Castello di Pentima che nasce a difesa della cattedrale di Valva. La sua stessa struttura lo denuncia: i muri esterni delle case, sono essi stessi mura difensive con finestrelle piccole e rade. La logica difensiva è tutta rivolta, come si diceva, contro il mare in quanto da lì era risalito il leale normanno Loritello, da lì stava risalendo il ferocissimo normanno Malmozzetto.

Malmozzetto avrà la meglio vanificando le dighe che Trasmondo aveva edificato. La resistenza sarà infatti resa inutile dalla creazione del regno di Sicilia da parte del Normanno Ruggero II che con abile politica opererà una pacifica normalizzazione. E di Pentima che ne sarà?

Nata come caposaldo di una difesa dai Normanni, come supporto evidentemente delle stesse fortificazioni che Trasmondo aveva aperto nella cattedrale, essa rientrò nella logica dell’incastellamento normanno che proseguì un’onda che era iniziata ben prima, acquisendo pur essa il segno nevralgico di controllo del territorio nell’ambito del nuovo regno e come sicurezza delle popolazioni che vi si arroccavano. Un castello dei tanti che configurarono il volto della regione in un’epoca che parte dal periodo postsaraceno e che si estende fino ai primi tempi dell’occupazione normanna. Tuttavia un altro momento importante esso avrà a seguito delle furibonde lotte che caratterizzarono la vita delle due diocesi di Valva e di Sulmona, chiese come esse erano l’una dell’altra. Tale momento è testimoniato dall’Actum destructionis Ecclesiae Saneti Pelini et examen testium del 1229 che con fosche tinte drammatiche narra appunto la distruzione anche delle case dei vassalli del vescovo ovvero con tutta evidenza del castello di Pentima. Sarà bene riportarne il transunto: I Canonici di S. Panfilo cattedrale di Sulmona hanno usurpato le decime e i diritti funerari spettanti al vescovo di Valva Niccolò. Nel giovedì santo questi fulmina la scomunica e la rinnova nel dì della festa della dedica della chiesa di Valva a S. Pelino e nella festa di S. Alessandro. Ecco quindi la ribellione dei Sulmonesi che mano armata assaltano la chiesa di S. Pelino, vi penetrano, fan prigioniero Gualtiero di S. Valentino canonico di S. Pelino e lo consegnano nelle mani dei canonici di S. Panfilo i quali nel chiostro della stessa Chiesa gli legano le mani lo battono e lo conducono così legato fino a Sulmona. Nascono subito le fazioni in offesa e in difesa. Han la meglio le prime. E non ci si ferma nella spirale della violenza. Incendi, devastazioni di tutto l’abitato dei vassalli del vescovo denominato Terranova.

Distruzioni di suppellettili, ruberie di bestiame ed utensili tanto di proprietà dei vassalli che del vescovo. Il vescovo stesso se ne fugge sulle sommità della torre vestito dei suoi sacri paramenti, tenendo in mano la Croce d’Argento e dalla sommità della torre stessa fulmina di nuova scomunica. Lanci di pietre. Nuove minacce. La torre è forzata. I primi assalitori mettono le mani sul vescovo lo legano e sollecitati dagli assediati lo menano legato in Sulmona ove passa tra ali di popolo (e il transunto antinoriano pietosamente aggiunge: a riserba delle donne e dei fanciulli) che lo sbeffeggia.

Il vescovo in tale umiliazione vien visto piangere, ma ciò non impedisce che la violenza venga consumata. Anzi non cessa neppure con l’umiliazione esacerbante del vescovo: la chiesa di S. Pelino viene letteralmente devastata: paramenti, suppellettili, pietre sacre, ad onta delle immunità, tutto viene distrutto. La stessa cappella di S. Alessandro viene privata delle campane. Giovanni Giudeo Sagrestano di S. Panfilo trasporta a Sulmona le pietre sacre ed ogni tipo di numero: chi porta via i candelieri, chi i bracci di ferro portalampade, chi addirittura nel tumulto, come Pietro di Giovanni Baione, fu veduto porsi, dall’apertura della camicia sul petto, le ossa trovate sotto gli altari.

Poi il bilancio: le case contigue alla Chiesa e tutte le altre ad essa avanti incendiate, la chiesa distrutta e smantellata ivi compresa le stanze del vescovo e dei canonici. Insomma chi da sempre si era ritenuto vassallo della chiesa di S. Pelino ed aveva il vescovo per suo signore fu privato delle proprie cose ed ebbe distrutte le vigne, le aie, le case. Ancor più danneggiati ne furono quanti facevan parte della Corte del Vescovo: vassalli, giudici, notai che persero animali, panni, argenterie, ferramenti, vasi di rame ed altri utensili.

Sempre dalla stessa pergamena risultano le conseguenze: il Vescovo Niccolò si querela al Papa Gregorio che commette ai vescovi Pennese, Marsicano e Teatino (quest’ultimo era Bartolomeo) l’istruzione del processo. Da questo discende la sentenza di scomunica per il Capitolo e gli uomini di Sulmona intimata a tutti i Prelati della Diocesi di Valva con l’obbligo di pubblicazione ogni domenica ed ogni festività a candele accese ed a suono di campana. Sono questi gli ultimi segni dell’emergere del castello di Pentima. Da quel momento inizia un lento ma inesorabile processo di omologazione.

 

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