Che non potrà
evitare, però, le conseguenze delle grandi crisi, delle pestilenze, delle guerre e dei
ricorrenti eventi sismici che sul crepuscolo del Medioevo finiranno per minare le basi
dell'economia, depauperando l'eccezionale patrimonio architettonico e demografico di
quella che era stata "città bella e ricca di popolo", destinata in breve ad
essere infeudata. Fasti e nefasti, vicende tristi e liete, che segnarono il tardo Medioevo
e il Rinascimento, e poi il tempo della Controriforma e del Barocco, passaggi obbligati
della civitas sulmontinorum, di cui l'eclettico complesso palazzo-chiesa-campanile
dell'Annunziata sembra riassumerne lo spirito, sintetizzarne l'essenza, condensarne i
valori. Il terribile sisma del 6 novembre 1706 - circa mille morti su una popolazione di
4000 anime è sufficiente a dare la misura della catastrofe - ne condizionerà l'andamento
demico per oltre un secolo, mentre la ricostruzione affrettata, e purtroppo a volte
pasticciata, ne svilirà le architetture. E il secolo, che si era aperto con siffatta
catastrofe, stava per chiudersi col sacco dei Francesi, evitato per miracolo solo perché
case, chiese e conventi servivano agli acquartieramenti della truppa; a pagare lo scotto
della resistenza armata furono pertanto solo una trentina di poveracci, fucilati per
essersi ribellati ai Galli civitatem invadentes... Solo nell'Ottocento si avvertiranno
segnali incoraggianti di ripresa, che assumeranno ritmi quasi vorticosi all'indomani
dell'Unità d'Italia. Sulmona avrà le scuole, i giornali, la biblioteca e un piccolo
museo, rinnoverà le fogne, lastricherà le strade e, mandando in pensione i vecchi
lumicini ad olio, le illuminerà con moderne lampade ad incandescenza. Poi diventerà un
importante nodo ferroviario e col primo Novecento arriverà l'acqua corrente e perfino la
tranvia. Quelli, purtroppo, furono anche gli anni della grande emigrazione e delle aspre
lotte politiche, una tradizione ormai che vedeva i Sulmonesi sempre divisi a parteggiare
per questo o per quello, sempre pronti a mozzare le teste emergenti. E così facendo hanno
spesso sbagliato, dando in tal modo man forte al fato avverso. Che i Sulmontini non
fossero mai stati troppo accorti e tanto meno fortunati in certe loro scelte di fondo è
risaputo, e chissà se la colpa di tutto non sia da imputare al loro "peccato
originale", che fu quello di riconoscersi nella progenie di quel Solimo di Troia, uno
duramente toccato dalla mala sorte, in definitiva un vinto, un perdente. Che dire poi di
Ovidio Nasone, il figlio più grande, vanto della Sulmo romana e della peligna gens,
condannato per colpe neppure conosciute a finire i suoi giorni tra i semibarbari del
Ponto? Di più iellati di lui la storia di certo ne ricorda pochi. Non avevano avuto,
infatti, mano felice al tempo della prima guerra civile nel prendere le parti di Mario e
Silla aveva decretato la distruzione di Sulmona. Nella contesa tra Cesare e Pompeo le cose
stavano per prendere la stessa piega e solo rinunciando a sogni di gloria e aprendo le
porte a Marcantonio e alle sue coorti fu evitato il peggio. E come in età augustea
avevano perso il concittadino più illustre, più tardi perderanno anche il pastore e la
cattedra vescovile - che al tempo non era cosa da poco - per riaverli solo secoli più
tardi e a prezzo di contese e dissapori a non finire, e non per meriti speciali ma
unicamente perché la vicina Pentima in quanto a "scalogna" non era certo stata
seconda alla città sorella. Scelte sbagliate perfino al tempo del massimo splendore,
perché quando i gigli d'Angiò soppiantarono le aquile di Svevia, all'effimera gloria
seguirono i giorni neri. E cosa fecero i Sulmontini? Invece di stringersi in schiere
compatte, si divisero in guelfi e ghibellini. E la smania di starsene arroccati su opposte
sponde a contendersi le miserie del potere "casereccio" perdurò a lungo, così
che finito il tempo dei "bianchi" e dei "neri" si misero a giuocare ai
Montecchi e Capuleti, un vizietto perpetuatosi nel tempo e pagato a caro prezzo anche a
distanza di secoli. Chi conosce un po' di storia cittadina più recente sa delle lotte tra
partiti avversi in epoca post-unitaria e poi con la monarchia e perfino col fascismo.
Emblematico l'episodio della provincia, anzi della mancata provincia. In quei primi anni
del "ventennio" c'era un gerarca locale che aveva fatto carriera e per di più
era amico personale di Mussolini, col quale era in tanta confidenza che gli aveva perfino
prestato il proprio frac quando il Duce dovette presenziare la prima cerimonia ufficiale.
Certo, se i Sulmonesi fossero stati furbi si sarebbero ben guardati dal far torto a quel
che si dice il santo in paradiso; invece, lo osteggiarono al punto tale che, quando si
trattò di decidere sulle nuove provincie - e Sulmona era tra le aspiranti -, il santo non
ascoltò le preci dei compaesani e finì per favorire la scelta di Rieti, città alla
quale pare fosse legato da motivi "sentimentali". C'era stata nel frattempo
anche la storia della rivolta contadina del '29. I nostri bravi "cafoni"
pressati dai pesanti balzelli che gravavano su ogni prodotto della campagna in entrata e
in uscita dalla "cintura daziaria", fosse pure un fascetto di sterpi per far
fuoco, una bella mattina s'erano "incavolati" ed erano andati all'assalto dei
posti di guardia con roncole e forconi sfasciando garitte ed ogni cosa. Una brutta
faccenda che non era piaciuta al Regime e per la quale Sulmona finì nel "libro
nero" dei cattivi. Difatti, da quel momento per farsi bella almeno un poco dovette
arrangiarsi; così fu per il monumento a Ovidio, per Piazza XX Settembre, per la Villa
Comunale e per altri lavori di pubblica utilità; il Teatro fu addirittura realizzato -
molto bene, bisogna riconoscerlo - unicamente con le sottoscrizioni dei patiti della
lirica. In quanto allo "Stadio" - che ovviamente si disse del Littorio - il
risultato fu quanto mai infelice, in pratica ne venne fuori un mezzo aborto e tale è
rimasto nonostante aggiunte e aggiustamenti successivi.
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