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De tintinnabulis
Alleremo di Santo Spirito
a Maiella, nei pressi di Roccamorice, ricomincia a suonare la campana. Un gruppo di
giovani monaci propone una difficile e attualissima scelta di vita
Testi di Maria Concetta Nicolai
Foto di Andrea Papa |
Raccontano
le storie che allalba del 29 agosto 1248 un misterioso rintoccare di campane
risuonò per le valli della Maiella. Dalle terre e dai castelli, sparsi allintorno,
gli uomini alzarono lo sguardo verso la montagna, dove uno sparuto gruppo di santi eremiti
viveva in grotte e ripari ricavati tra le rocce.
A quanti,
meravigliati da un prodigio tanto inspiegabile, in luoghi così aspri e solitari, subito
accorsero sopra limpervio romitorio, si presentò uno spettacolo straordinario che
nella narrazione medioevale ha i colori e gli accenti ingenui della sacra
rappresentazione.
San Pietro
Celestino, papa e confessore, come lo definisce il calendario liturgico, stava alla
finestra della sua cella e volgeva lo sguardo verso un orizzonte di cobalto, popolato di
Angeli e Beati.
Re Davide,
nellaspetto di un vecchio venerando precedeva la schiera inneggiante.
Dimprovviso, una luce accecante ricoprì le povere pietre dellaltare e San
Giovanni evangelista, in splendide vesti sacerdotali, assistito da un diacono e un
suddiacono, scesi per loccasione dal Paradiso, celebrò la messa, a cui assistette,
seduta in trono, Nostra Donna con il Divino Figlio sulle ginocchia e il Battista a lato.
Conclusi i sacri
Misteri il cielo si spalancò e lOnnipotente Dio Padre riempi laria con il
braccio benedicente, mentre un coro angelico, guidato dallo Spirito Santo, cantava
"Quod factum est, consacratum est et testimonio Angeli confirmatum".
La leggenda di
fondazione della chiesa abbaziale di Santo Spirito a Maiella si apre con prodigioso
tintinnar di campane e inizia una tradizione che, continuando nei secoli, con il rintocco
delle campane, ha scandito la dimensione spirituale della valle.
Da qualche tempo,
dopo un lungo silenzio, durante il quale il monastero e gli edifici pertinenti sono stati
minacciati prima dalloblio, poi dallattenzione degli uomini che hanno persino
potuto pensare di trasformare queste pietre pregnanti di santità, in un ostello-albergo
per turismo alternativo, la campana ha ripreso a suonare.
E a sentirlo bene
il suono ha una voce nuova, "anzi dantico".
A Santo Spirito a
Maiella, sopra Roccamorice, sono tornati i monaci eremiti, una sparuta, come del resto si
addice alla vita solitaria, comunità guidata da Cesare di Santo Stefano, giovane abate
poliglotta e sensibile alla musica e alla poesia.
Vengono da
Cerreto, un monastero nascosto tra le Mainarde, da dove sono partiti con la benedizione
del Vescovo di Isernia, citazioni geografiche, queste, che rimandano, per molteplici
attinenze, al fondatore della chiesa e della casa monastica.
Eppure, forse,
molte sono le differenze tra Pietro e Cesare, anche al di là di quelle più
immediatamente percepibili. Sullingresso della cella studio, che apre una sola e
perfetta finestra sullo scenario immenso della montagna innevata, il nuovo abate ha posto
un motto e un simbolo solari: "Visitavit nos Oriens ex alto". Per un attimo la
mente agita il respiro di Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella, mentre Dominus Cesare,
calcando le pietre con i nudi sandali della povertà e della penitenza, reclama spazi
esistenziali di una "prolungata solitudine come alimento necessario al nostro
essere".
E mentre parla si
affaccia alla stessa finestra da cui Pietro eremita e confessore spaziava sul giorno
nascente, dopo aver poggiato sul davanzale quel parvus libellus di preghiere che manda
fino a noi, composto nel volgare di queste montagne, un messaggio di fanciullesca
innocenza: "Velia e sci sollicitu acciò quesse convene".
Uno dei modelli
di Cesare è Re Davide che canta e danza dinnanzi allArca "perché lamore
mistico è armonia e movimento" dice, scoprendo, con un pudico accenno, la intima
serenità della preghiera comunitaria nelle ore canoniche.
Di nuovo le sue
parole evocano la figura di quel Povero Cristiano montanaro che sapeva parlare a Nostra
Donna, al papa e al re di Napoli, ma non poté reggere al peso del potere temporale della
Chiesa. E Cesare e suoi fratelli come si pongono di fronte al potere della Chiesa? Questa
loro scelta è una fuga sdegnosa o una sublime ricerca della Verità?
Ma questa è una
risposta che spetta ad altri. Il giudizio del visitatore è chiamato a considerare altri
aspetti. Qui la vita non è, e del resto non lo è mai stata, solo solitudine e
contemplazione. Cesare si ripromette di far rivivere i romitori di San Giovanni e
SantAntonio, di ricomporre la cappella della Maddalena, di riportare al dovuto
splendore gli altari, di ridare alla Perdonanza di settembre il richiamo che merita, di
far rinverdire gli orti e i verzieri. Anche sotto la mortificazione del saio e della
cocolla cammellina la sua vitalità ha un moto di giovinezza, la quale, del resto, è il
comune denominatore di tutti i suoi confratelli.
La storia si
ripete: poco più di trentanni aveva Pietro Angeleri, quando intraprese, cantando con la
schiera dei Santi, la costruzione di questa chiesa e di questo monastero, e Pietro
Santucci da Manfredonia, ne aveva ventiquattro quando, nel 1586, cominciò la faticosa
impresa di restituire a queste pietre la primitiva dignità. Ogni domenica la campana
rintocca a distesa per annunciare la Messa aperta a quanti vogliono pregare un poco più
vicino al Cielo.
In definitiva è
questo che conta e questi ragazzi vestiti da monaci eremiti sono saliti sulla Maiella
perché la ricerca del Sole della Verità è una splendida gloria che cinge solo la fronte
temeraria di chi è giovane per sempre. Noi che stiamo a valle altro non possiamo fare che
aiutarli a restare.