Al
pari della Maiella, di Corno Grande o del Guerriero di Capestrano,
il Sangro rappresenta uno degli elementi più evocativi d'Abruzzo.
In particolare la foce e' una delle più interessanti nell'ambito
delle regioni centro-adriatiche.
"Sagrus
magnus omnis" chiamava Strabone, geografo greco, il Sangro, il
grande fiume noto anche come Sagros, Sarus, Csaros, Saro ed in altri
modi ancora. Dal fiume prese il nome il popolo dei Sarentini o
Carecini, la più piccola e settentrionale delle tribù sannitiche,
la cui presenza è ancora testimoniata dalle possenti mura
ciclopiche che cingono i rilievi circostanti, e dai templi costruiti
sul fiume nei pressi di Quadri ove è stata localizzata l'antica
Trebula.
I Romani scelsero il promontorio che domina il golfo incantato dove
sfocia il fiume per costruire l'imponente tempio dedicato a Venere,
dea dell'amore e della bellezza nata dal mare e simboleggiata dal
mirto, specie solare che evoca il Mediterraneo, ancora presente in
questo tratto di costa. La foce del Sangro dovette rappresentare in
passato un elemento naturale e geografico di notevole importanza. A
pochi chilometri da essa, Traiano fece edificare un ponte per
facilitare l'attraversamento dell'antica via Frentana e, qualche
secolo più tardi, il fiume segnò il confine politico tra i ducati
Longobardi di Spoleto e di Benevento dividendo l'Abruzzo in due
parti. Con la fondazione e l'organizzazione del Monastero di San
Giovanni in Venere, sorto sui ruderi dell'antico tempio pagano, gran
parte del fiume e della sua ampia pianura passò sotto il controllo
dell'abbazia. I monaci realizzarono nei pressi della foce una
salina, diversi mulini e la scafa il cui uso è documentato fino
agli inizi del nostro secolo per attraversare il fiume tra i
territori di Torino di Sangro e Fossacesia. Il fiume ha così
segnato e condizionato la vita delle popolazioni: le acque
abbondanti fertilizzavano la terra, riempivano fino al secolo scorso
le risaie, azionavano mulini, lanifici e persino una grande cartiera
tra Quadri e Borrello. Spesso il fiume si gonfiava, straripava e
allagava la pianura apportando distruzione e lutti. Di questo vi è
memoria nel racconto dei vecchi a proposito della grande piena che,
nell'autunno del 1943, bloccò gli eserciti contrapposti per diverse
settimane. Al pari dei rotondi e materni contrafforti della Maiella,
delle pareti aeree e verticali del Corno Grande o della misteriosa
sagoma del guerriero di Capestrano, questo fiume rappresenta uno
degli elementi più evocativi della nostra regione. Ma il Sangro è
anche fiume tra i meglio conservati non solo nel tratto montano del
suo corso ma anche in quello terminale. In particolare la foce è
una delle più interessanti nell'ambito delle regioni
centro-adriatiche. Questo ecosistema è stato infatti incluso dalla
Società Botanica Italiana tra i biotopi di rilevante interesse
vegetazionale, meritevoli di conservazione in Italia ed è stato
anche segnalato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall'ex
Ministero Agricoltura e Foreste, inserito nelle aree prioritarie dei
Piani Regionali Paesistici e di recente individuato dalla Regione
Abruzzo e dal Ministero dell'Ambiente come area SIC (Sito di
Interesse Comunitario) con il codice IT7140107 denominato "Lecceta
litoranea di Torino di Sangro e foce del Sangro".
Alla foce del Sangro si sono conservati ambienti altrove distrutti
ed annientati. In primo luogo i boschi ripariali fitti ed intricati,
in cui è presente anche la farnia (Quercus robur), che vengono a
diretto contatto con la lecceta di Torino di Sangro, cenosi boschiva
unica del suo genere e Biotipo protetto ai sensi della L. R. 45/79;
alla foce del fiume si rinvengono inoltre piccole depressioni di
acqua salmastra, ultime vestigia del lago costiero delle Grotte
riportato nelle carte del secolo scorso e poi bonificato. Questi
ambienti ospitano specie floristiche rarissime, alcune delle quali
inserite nella Lista Rossa Regionale delle Piante come nel caso
dell'evax comune (Evax pygmaea), del lino marittimo (Linum maritimum),
del giglio marino (Pancratium maritimum), del limonio (Limonium
virgatum) dell'agno-casto (Vitex agnus castus) e della salicornia (Salicornia
patula).
A queste si aggiungono altre specie rare come il trifoglino palustre
(Dorycnium rectum), l'enula bacicci (Inula crithmoides), la salsola
erba-cali (Salsola kali), il giglio acquatico (Iris pseudacorus), la
mazza d'oro comune (Lysimachia vulgaris), il finocchio marino (Crithmum
maritimum) e l'aglio nano (Allium chamaemoly).
Studi recenti documentano sotto l'aspetto scientifico come la costa
abruzzese conservi proprio nel settore meridionale la più alta
naturalità, in particolare presso la foce del Sangro dove sono
state rinvenute specie e cenosi divenute ormai rare. L'Eriantho
ravennae-Schoenetum nigricantis o il Suaedo maritimae-salicornietum
patulae testimoniano che ormai le specie più interessanti dal punto
di vista fitogeografico si trovano lungo la costa in ambienti che
rischiano di scomparire, rappresentando una grande perdita per il
patrimonio naturale.
Anche la componente faunistica annovera specie rare ed importanti,
sotto il profilo ecologico e biogeografico: ad es. il gamberetto
d'acqua dolce (Palemonetes antennarius), un esile crostaceo lungo
circa 4 cm, trasparente e dotato di lunghe zampe che vive nei tratti
inferiori e alle foci dei fiumi, tra la vegetazione delle sponde e
rappresenta un ottimo bioindicatore delle qualità delle acque e con
ciò dimostra le grandi capacità autodepurative di questo fiume che
scorre per oltre 120 km attraverso l'Abruzzo.
Inoltre la foce costituisce un luogo di svernamento e di passo di
molte specie di uccelli migratori, tra cui anche specie del tutto
eccezionali, come la pispola golarossa, mentre vi nidificano specie
in declino nel loro areale europeo come nel caso del martin
pescatore e del gruccione. Pochi elementi naturali come il fiume
identificano un territorio, le sue genti, la cultura, la storia;
inoltre poche risorse naturali come l'acqua risultano così vitali
per l'uomo all'avvio del terzo millennio. Il Sangro rappresenta
tutto questo e la sua foce costituisce non solo un grandioso
spettacolo naturale, ma anche la sintesi di un percorso di civiltà.
Un luogo sacro che gli uomini ancora una volta hanno deciso di
distruggere per la costruzione dell'ennesimo porto turistico e
dell'ennesima cementificazione di un tratto di costa tanto bello che
doveva diventare Parco Nazionale della Costa Teatina. Sembra
impossibile ma nell'anno 2000 l'unica foce di fiume ancora degna di
questo nome verrà distrutta, un paesaggio irripetibile costituito
dalla selva di Torino di Sangro, dal promontorio di S. Giovanni in
Venere e dalla foce del Sangro alterato in maniera irreversibile.
Tutto questo in questa regione che tanto si è prodigata in passato
per proteggere le proprie zone montane. Nel secolo scorso il
viaggiatore tedesco Gregorovius, riferendosi al prosciugamento del
Fucino ebbe a scrivere: "si sta distruggendo la poesia".
Oggi questa frase non suona più anacronistica dal momento che da
più parti si paventa la necessità di ripristinare l'antico lago
distrutto, non solo per un'esigenza di tipo poetico ma anche per
motivazioni ben più prosaiche.