D'Abruzzo

Home
La rivista
Filo diretto
Catalogo
Abbonamenti
Cerca

Ambiente
L'ultima foce

Testo di Aurelio Manzi, Angela Natale e Mario Pellegrini
Foto di Gaetano Basti

Al pari della Maiella, di Corno Grande o del Guerriero di Capestrano, il Sangro rappresenta uno degli elementi più evocativi d'Abruzzo. In particolare la foce e' una delle più interessanti nell'ambito delle regioni centro-adriatiche.

"Sagrus magnus omnis" chiamava Strabone, geografo greco, il Sangro, il grande fiume noto anche come Sagros, Sarus, Csaros,La foce del Sangro Saro ed in altri modi ancora. Dal fiume prese il nome il popolo dei Sarentini o Carecini, la più piccola e settentrionale delle tribù sannitiche, la cui presenza è ancora testimoniata dalle possenti mura ciclopiche che cingono i rilievi circostanti, e dai templi costruiti sul fiume nei pressi di Quadri ove è stata localizzata l'antica Trebula.
I Romani scelsero il promontorio che domina il golfo incantato dove sfocia il fiume per costruire l'imponente tempio dedicato a Venere, dea dell'amore e della bellezza nata dal mare e simboleggiata dal mirto, specie solare che evoca il Mediterraneo, ancora presente in questo tratto di costa. La foce del Sangro dovette rappresentare in passato un elemento naturale e geografico di notevole importanza. A pochi chilometri da essa, Traiano fece edificare un ponte per facilitare l'attraversamento dell'antica via Frentana e, qualche secolo più tardi, il fiume segnò il confine politico tra i ducati Longobardi di Spoleto e di Benevento dividendo l'Abruzzo in due parti. Con la fondazione e l'organizzazione del Monastero di San Giovanni in Venere, sorto sui ruderi dell'antico tempio pagano, gran parte del fiume e della sua ampia pianura passò sotto il controllo dell'abbazia. I monaci realizzarono nei pressi della foce una salina, diversi mulini e la scafa il cui uso è documentato fino agli inizi del nostro secolo per attraversare il fiume tra i territori di Torino di Sangro e Fossacesia. Il fiume ha così segnato e condizionato la vita delle popolazioni: le acque abbondanti fertilizzavano la terra, riempivano fino al secolo scorso le risaie, azionavano mulini, lanifici e persino una grande cartiera tra Quadri e Borrello. Spesso il fiume si gonfiava, straripava e allagava la pianura apportando distruzione e lutti. Di questo vi è memoria nel racconto dei vecchi a proposito della grande piena che, nell'autunno del 1943, bloccò gli eserciti contrapposti per diverse settimane. Al pari dei rotondi e materni contrafforti della Maiella, delle pareti aeree e verticali del Corno Grande o della misteriosa sagoma del guerriero di Capestrano, questo fiume rappresenta uno degli elementi più evocativi della nostra regione. Ma il Sangro è anche fiume tra i meglio conservati non solo nel tratto montano del suo corso ma anche in quello terminale. In particolare la foce è una delle più interessanti nell'ambito delle regioni centro-adriatiche. Questo ecosistema è stato infatti incluso dalla Società Botanica Italiana tra i biotopi di rilevante interesse vegetazionale, meritevoli di conservazione in Italia ed è stato anche segnalato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall'ex Ministero Agricoltura e Foreste, inserito nelle aree prioritarie dei Piani Regionali Paesistici e di recente individuato dalla Regione Abruzzo e dal Ministero dell'Ambiente come area SIC (Sito di Interesse Comunitario) con il codice IT7140107 denominato "Lecceta litoranea di Torino di Sangro e foce del Sangro".
Alla foce del Sangro si sono conservati ambienti altrove distrutti ed annientati. In primo luogo i boschi ripariali fitti ed intricati, in cui è presente anche la farnia (Quercus robur), che vengono a diretto contatto con la lecceta di Torino di Sangro, cenosi boschiva unica del suo genere e Biotipo protetto ai sensi della L. R. 45/79; alla foce del fiume si rinvengono inoltre piccole depressioni di acqua salmastra, ultime vestigia del lago costiero delle Grotte riportato nelle carte del secolo scorso e poi bonificato. Questi ambienti ospitano specie floristiche rarissime, alcune delle quali inserite nella Lista Rossa Regionale delle Piante come nel caso dell'evax comune (Evax pygmaea), del lino marittimo (Linum maritimum), del giglio marino (Pancratium maritimum), del limonio (Limonium virgatum) dell'agno-casto (Vitex agnus castus) e della salicornia (Salicornia patula).
A queste si aggiungono altre specie rare come il trifoglino palustre (Dorycnium rectum), l'enula bacicci (Inula crithmoides), la salsola erba-cali (Salsola kali), il giglio acquatico (Iris pseudacorus), la mazza d'oro comune (Lysimachia vulgaris), il finocchio marino (Crithmum maritimum) e l'aglio nano (Allium chamaemoly).
Studi recenti documentano sotto l'aspetto scientifico come la costa abruzzese conservi proprio nel settore meridionale la più alta naturalità, in particolare presso la foce del Sangro dove sono state rinvenute specie e cenosi divenute ormai rare. L'Eriantho ravennae-Schoenetum nigricantis o il Suaedo maritimae-salicornietum patulae testimoniano che ormai le specie più interessanti dal punto di vista fitogeografico si trovano lungo la costa in ambienti che rischiano di scomparire, rappresentando una grande perdita per il patrimonio naturale.
Anche la componente faunistica annovera specie rare ed importanti, sotto il profilo ecologico e biogeografico: ad es. il gamberetto d'acqua dolce (Palemonetes antennarius), un esile crostaceo lungo circa 4 cm, trasparente e dotato di lunghe zampe che vive nei tratti inferiori e alle foci dei fiumi, tra la vegetazione delle sponde e rappresenta un ottimo bioindicatore delle qualità delle acque e con ciò dimostra le grandi capacità autodepurative di questo fiume che scorre per oltre 120 km attraverso l'Abruzzo.
Inoltre la foce costituisce un luogo di svernamento e di passo di molte specie di uccelli migratori, tra cui anche specie del tutto eccezionali, come la pispola golarossa, mentre vi nidificano specie in declino nel loro areale europeo come nel caso del martin pescatore e del gruccione. Pochi elementi naturali come il fiume identificano un territorio, le sue genti, la cultura, la storia; inoltre poche risorse naturali come l'acqua risultano così vitali per l'uomo all'avvio del terzo millennio. Il Sangro rappresenta tutto questo e la sua foce costituisce non solo un grandioso spettacolo naturale, ma anche la sintesi di un percorso di civiltà. Un luogo sacro che gli uomini ancora una volta hanno deciso di distruggere per la costruzione dell'ennesimo porto turistico e dell'ennesima cementificazione di un tratto di costa tanto bello che doveva diventare Parco Nazionale della Costa Teatina. Sembra impossibile ma nell'anno 2000 l'unica foce di fiume ancora degna di questo nome verrà distrutta, un paesaggio irripetibile costituito dalla selva di Torino di Sangro, dal promontorio di S. Giovanni in Venere e dalla foce del Sangro alterato in maniera irreversibile.
Tutto questo in questa regione che tanto si è prodigata in passato per proteggere le proprie zone montane. Nel secolo scorso il viaggiatore tedesco Gregorovius, riferendosi al prosciugamento del Fucino ebbe a scrivere: "si sta distruggendo la poesia". Oggi questa frase non suona più anacronistica dal momento che da più parti si paventa la necessità di ripristinare l'antico lago distrutto, non solo per un'esigenza di tipo poetico ma anche per motivazioni ben più prosaiche.

 

EDIZIONI
MENABO'


Coordinamento multimediale
Maria Concetta Nicolai

Webmaster
Giustino Ceccarossi

© 1998, 1999 Edizioni Menabo', Professional Net