Martedi' 7 Dicembre 1999
Bambini,
alberi e cuccioli nell’arca di Noe'
servizi di CORRADO CASTIGLIONE
Tre chilometri, dal sud della provincia alla marina della metropoli. Un tempo lo
sviluppo passava di qui, carico di grano, pomodori, conserve e pelli. Mentre le
raffinerie, poco distanti, gia' appestavano l’aria, ma quello sembrava solo il
prezzo, carissimo, da pagare perche' San Giovanni a Teduccio non fosse piu'
comune autonomo.
Oggi via Nuova Traccia a Poggioreale non si chiama piu' così e per via Fernando
Imparato, a due passi da Barra, accanto a quello che resta degli antichi mulini
e delle fabbriche sventrate, scorre quella «ricchezza» che non da' sviluppo,
il contrabbando: benzina, sigarette, droga, armi. Vivono qui gli eredi di
Michele Zaza, il re del contrabbando sbarcato da Santa Lucia.
Ma anche la criminalita' organizzata qui e' cambiata e a sentire don Gaetano
Romano, il parroco della chiesa intitolata a Maria Immacolata Assunta in Cielo,
puo' accadere di avere nostalgia della «vecchia camorra» e dei suoi «codici».
«Con quei delinquenti - dice don Gaetano - c’era almeno una possibilita' di
dialogo: non di intesa, certo, non di accordo, pero' venivi ascoltato. Per
esempio, mai un camorrista e' venuto a chiedermi di fare il padrino ad un
cresimando. Perche' gia' sapeva che ci sarebbe stato un rifiuto. Oggi, invece,
ti vedi venire incontro il teppistello, quello che magari a 18 anni c’ha gia'
precedenti penali, che spaccia droga e a sua volta e' imbottito di droghe
sintetiche, quelle che bruciano il cervello, e ti fa: ”Padre, aggia fa’ ’o
cumpare”. E diventa difficile relazionarti con questa gente, non sai da che
parti li devi prendere. C’e' solo arroganza, prepotenza. Per carita', la
risposta alla fine e' sempre un no, ma diventa un no assolutamente
incomprensibile per lui».
Di Zaza, il capostipite degli «emergenti» di oggi, appena il ricordo sbiadito
nella memoria di un incontro, di quando il padrino buonanima punto' la pistola
contro la pancia di don Gaetano: «Agosto ’78: non ero ancora prete - racconta
- mi fu affidato un giovane noto come delinquente ed era un mio compagno
d’infanzia, doveva sposarsi, ma non aveva ancora ricevuto la cresima e così
il parroco mi chiese la cortesia di prepararlo. Cominciammo il corso. Ebbene,
una sera non si presento'. La sera successiva arrivo' insieme a quest’uomo che
io non conoscevo. Allora io dissi: ”brutto fetentone, mi hai fatto aspettare
fino alle nove, ieri sera”. E quell’uomo mi punto' la pistola contro la
pancia che allora non avevo così pronunciata. A quel punto il giovane disse:
”non ti preoccupare, cumpa', chiste e' ’n’amico”. E poi, mi disse che
questo ”compare” gli avrebbe fatto da padrino alla cresima. Allora ero
seminarista, non potevo organizzare queste cose e risposi: ”ne parlerete con
il parroco”, poi ando' diversamente e Zaza non fece da padrino». Il racconto
termina e gli occhi di don Gaetano sono velati da lacrime. Quel giovane ex
compagno d’infanzia e' sparito nel Natale di quattro anni fa, l’hanno
ritrovato a luglio, cadavere da quattro anni, seppellito nelle terre di San
Cipriano d’Aversa...
La chiesa ha due facce. Un bunker da fuori, un «eden» e, insieme, un’«arca»
da dentro, dove sono in tanti a trovarci riparo: piantine, animaletti, minori a
rischio.
Il bunker e' tutta colpa della ricostruzione post-terremoto che ha disegnato
intorno una teoria ibrida di mattoni grigi e cancellate invalicabili, roba che
qui ci sta bene solo perche' sullo sfondo, laggiu', ci sono i casermoni
altrettanto grigi del «bronx» Pazzigno, anch’essi firmati dalla «219». Una
volta, durante i lavori, don Gaetano c’ha pure provato ad arrabbiarsi e
l’architetto, anche lui infuriato, alla fine gli ha sbottato: «Ma scusi,
padre, lei e' un architetto?». «No - gli ha risposto don Gaetano - pero' so a
che serve una chiesa». Una litigata che gli e' valsa appena l’eliminazione di
un cancello elettrico in ferro pesante, che doveva sorgere al confine con
l’attiguo edificio scolastico che ospita tre istituti, il Settimo Magistrale
«Don Milani», l’Elementare «Scialoia», la Media «Cortese». Lì e'
rimasto il muro, pero', quello proprio non e' riuscito a farlo togliere, e
adesso il sacerdote si ingegna con le piante rampicanti a nasconderlo.
L’«eden» e l’«arca» sono merito, invece, di don Gaetano Romano:
quand’e' venuto qui ci ha fatto svuotare sei camion pieni di terreno fertile,
quel terreno poi l’ha coltivato e sistemato, grazie all’aiuto del povero
papa', per tutti nonno Peppe, scomparso tre anni fa. Una parte di quel terreno
ora e' diventata un orticello, dove crescono pomodori, peperoncini verdi,
melenzane, insalate, broccoli, spinaci, pepe, dove salgono verso il cielo
quattro piantine di gerani rampicanti, e poi gli alberi di limone e un nespolo:
«Me l’ha portato un bimbo - racconta intenerito don Gaetano - aveva piantato
un seme, poi il seme era germogliato, alla fine la mamma giustamente gli aveva
detto che non poteva piu' tenerlo in casa». Piu' in la' un laghetto e un
piccolo zoo che accoglie gli animali feriti o che i bambini sono soliti comprare
alle fiere e che poi non riescono ad allevare: una dozzina di ochette, quindi i
tacchini, poi c’e' un colombo, arrivato qui con il collo spezzato, ora e'
guarito, domani riprendera' il volo. Un bell’esercizio di carita': «Tante
volte - dice don Gaetano - sui giornali leggi di quello che brucia la cagna coi
cagnolini, di quello che ha evirato il cane. Invece, qui trovi quello che finora
ha maltrattato gli animali e che ha trovato un piccione sotto una macchina e te
lo porta e ti dice: ”vedete se si puo' fare qualcosa”».
A curarli ci pensa il parroco in persona, a che serve il veterinario? Lo sa bene
Tania, un’anatra selvatica, ferita dai cacciatori: fa le uova dappertutto,
bisogna stare molto attenti a non calpestarle. Mentre, Valeria, una pecora, bela
infastidita.
Piu' in la' ancora, le botteghe di alcuni artigiani: ce n’e' per lavorare il
legno, il ferro, gli abiti da sposa, per effettuare opere di restauro. In tutto
tredici laboratori. Un po’ d’ossigeno agli inoccupati del quartiere e sono
tanti. A battere il ferro per rifinire un cancello ora ci sono Enzo, 33 anni,
celibe, e Peppe, 46 anni, sposato con due figli, la piu' grande (Maria) e'
sarta, il figlio piccolo e' orafo, la moglie e' un po’ la «mercante della
Caritas»: raccoglie gli stracci da buttare via, quelli buoni li rivende al
mercatino e così si guadagna qualcosa.
Ma la partita del futuro la parrocchia, come un’impresa, se la gioca
dirimpetto alla chiesa, dall’altra parte di via Imparato. e' l’ultima
fatica, il parroco ha preso in fitto per ora - e spera di riuscire addirittura a
comprarlo - un capannone finora occupato da un’ex fabbrica, la Seva, societa'
elettrochimica, specializzata in elettrolisi, lavorazione del ferro,
proprietario Parascandolo. Lì verra' trasferita la produzione per ora solo
artigianale dei lavori in ferro. «Ci stiamo dissanguando - dice don Gaetano -
sei milioni al mese, quella e' un’area di 4mila e 500 metri quadri, per un
capannone di 1100 metri che ci verra' dato tra 7 mesi». Ma chi ce li mette i
soldi? Che domanda inutile. Ma sì, «c’e' lo stipendio mio, quello di
Carmela, quello di Gianni il medico (i due animatori dell’associazione «Figli
in Famiglia»), e dei miei fratelli che si occupano di impianti di elettronica».
Insomma, se questa chiesa non e' proprio un’oasi, almeno e' una goccia del
deserto. Quello che don Gaetano aveva in mente quando «sbarco'» in questo
quartiere: «Appena arrivato, devo ammetterlo, ero un po’ scoraggiato e
scrissi subito una lettera al cardinale Ursi: ”Sento di trovarmi in un deserto
e sento di avere a disposizione solo una goccia d’acqua, ma nel deserto anche
una goccia d’acqua puo' bastare, e allora ci vengo ben volentieri”».
La goccia e' alimentata da una serie sterminata di collaboratori laici, e sono
catechisti (100), e sono volontari (500). Sebbene Caritas e Azione cattolica non
ci siano. Il ruolo della Caritas e' del tutto soppiantato dall’assistenza che
viene fornita attraverso l’associazione «Figli in Famiglia» (vedere
l’articolo a lato), intorno alla quale la pastorale parrocchiale si occupa in
prima battuta dei bambini, di quelli abbandonati dalle famiglie, di quelli poco
seguiti a scuola: un modo concreto per entrare nel vissuto quotidiano dei circa
10mila abitanti della parrocchia. Mentre il ruolo dell’Azione cattolica e'
stato del tutto sostituito dai numerosi corsi di catechesi per adulti e di
formazione permanente dei laici. Questo da una parte consente di non trascurare
i dettami del Sinodo diocesano (che ha messo in pratica gli indirizzi del
Concilio Vaticano II), anche se l’Azione cattolica che c’era prima non e'
piu' riproponibile perche' s’era trasformata in un circolo ricreativo, che
trovava il suo centro d’aggregazione non intorno a Cristo, ma intorno a un
bigliardino.
La marea di collaboratori permette a don Gaetano di fare il prete a tempo pieno,
dedicandosi a confessioni e colloqui, mentre da febbraio a giugno c’e' il giro
sistematico delle famiglie. Il resto e' accoglienza, pura, semplice. Tant’e'
che anche i piu' diseredati trovano un po’ di riparo: come L., 16 anni, la
corteccia cerebrale bruciata dal kobret. A volte crede d’essere un leone,
oppure un uragano. Vuole aggredire le persone, corre e butta tutto per aria, poi
incontra Carmela oppure Gianni, gente che gli vuole bene, e lui si calma. Una
volta e' andato anche in coma per colpa della droga.
Ma molto del lavoro della parrocchia viene svolto in collaborazione con le
scuole elementari e medie che sono al di la' del muro. Bambini e ragazzi vengono
a studiare qui fiori, piante e animali, come fossero all’Orto botanico oppure
al Parco zoologico. E spesso si uniscono ai circa 600 ragazzi che seguono i
corsi di catechismo. Percorsi di accompagnamento che a febbraio vivono un
momento di grande partecipazione con la festa di San Biagio, il protettore delle
gole, quando invece di benedire taralli don Gaetano benedice e distribuisce
biscotti (i taralli sono troppo duri); e culminano a giugno con la festa di
Santa Nutella: «Ebbene sì - sorride il parroco - abbiamo canonizzato la
cioccolata. Speriamo che il papa non ci scomunichi».
Dicembre
1999


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