Il Corriere della Sera
Mercoledi' 2 luglio 1997
E per il teologo Drewermann
anche Fido ha un'anima
di Cesare Medail
"Se gli uomini sono immortali, perche' non dovrebbero esserlo anche gli
animali?". E' l'ultima provocazione di Eugen Drewermann, il famoso
sacerdote-psicoanalista, docente di teologia a Paderborn (Germania) prima
di essere sospeso a divinis e dall'insegnamento nel 1992, per le posizioni
assunte contro le gerarchie.
La nuova, "scandalosa" testi di Drewermann, i cui libri hanno venduto in
Europa piu' di due milioni di copie, e' apparsa di recente in "Sull'immortalita'
degli animali (Neri Pozza, pp. 64, L.16mila). Se il saggio e' "oggettivamente"
provocatorio, lo spirito non e' polemico ma compassionevole, febbrile e mite
a un tempo, in difesa di "creature sottoposte a ogni forma di sevizie e di
abusi". Ma nell'indicare un colpevole Drewermann non ha dubbi: e' la teologia
cristiana, che concepi' gli animali come esseri senz'anima destinati a servire
l'uomo e a essere sacrificati, a differenza delle religioni orientali, del
credo degli egizi e del pensiero greco fino a Platone.
Non e' una posizione banalmente animalista, ma sorretta dalla riflessione
teologica, filosofica e scientifica. Cuore del saggio e' un passo di Paolo
(Lettera ai Romani, 8, 19-22): "...poiche' la creazione attende con gran
desiderio la glorificazione dei figli di Dio [...]. Con la speranza che la
creazione stessa un giorno sara' liberata dalla servitu' della corruzione,
per aver parte alla liberta' della gloria dei figli di Dio".
Anche la creazione (animali compresi, dunque) avra' parte della gloria dei
figli di Dio: la redenzione riguarda tutti, a meno che non s'interpretino
le parole di Paolo in chiave antropocentrica, come una simbolica estensione
del bisogno di redenzione dell'uomo. Ma Drewermann osserva che l'antropocentrismo
cristiano, maturato nella filosofia tomistica complice Aristotele, oggi puo'
essere demolito da un semplice sguardo gettato sull'universo tramite un
microscopio o un telescopio. Non sarebbe piu' coerente pensare che "negli
uomini si manifesta con maggiore evidenza quell'unico spirito che si realizza
ovunque?". Per un credente che tenga conto della scienza, della psicoanalisi
e dell'etologia, e' piu' ragionevole pensare a un unico, divino flusso vitale
che ha reso possibile l'ultramillenaria evoluzione di uomini e animali.
Drewermann ricorda l'esperimento del dottor Kawai, che nel 1953 insegno'
a lavare dalla sabbia una patata americana a un macaco dell'isola di Koscina,
che trasmise quel comportamento a un gran numero di altre scimmie, mostrando
in embrione la nascita di una cultura.
Drewermann non ritiene di tradire le Scritture ma solo di contrapporsi a
una teologia che ha combattuto dogmaticamente l'evoluzione. Quelle scimmie
si comportano come l'uomo due milioni di anni fa. Chi puo' dire, poi, come
saremo noi fra due milioni di anni?
Al momento presente dell'evoluzione, siamo di gran lunga piu' vicini agli
animali che all'idea di umano che gia' ci portiamo dentro, argomenta Drewermann
e cita Konrad Lorenz per il quale "l'anello mancante fra l'animale e l'uomo
siamo noi".
Il vero processo di umanizzazione, insomma, e' appena cominciato e gli animali,
sospinti dallo stesso soffio, magari ci supereranno. Per la vecchia teologia
l'homo sapiens e' ancora il culmine "insuperabile" di ogni evoluzione perche'
e' l'unica forma in cui Cristo e' appars sulla Terra. Ma chi puo' dire in
quale forma apparira' negli "ultimi giorni" delle Scritture?
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