Martedi' 7 Dicembre 1999
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Maledizione del nuovo
re, disdette ai tour operator
Alle
Fiji squali contro i turisti che festeggeranno il Capodanno
ROMA - Il lutto avvolge le Fiji e la maledizione degli squali minaccia il
Pacifico del sud. E soprattutto quei sub che avrebbero voluto festeggiare il
Capodanno immergendosi la notte del 31 dicembre '99 e risalendo qualche minuto
dopo, il primo gennaio del 2000. Rischiano di incrociare inferociti pescecani,
chiamati a pattugliare le coste fijiane dai Bete delle isole, i grandi
sacerdoti, custodi delle antiche tradizioni tribali: compresa quella che impone,
durante il lutto, di non immergersi in mare.
Il dolore avvolge le Fiji perche' e' morto Ratu Glanville Lalbalavu, grande
capo di Vanua Levu, seconda isola dell'arcipelago. La tradizione vuole che per
100 giorni nessuno faccia festa ne' si immerga nelle acque che erano territorio
di pesca del capo. Una rovina, per i tour operator che hanno affittato grandi
resort e bungalow per la festa di fine millennio. Sono gia' arrivate le prime
disdette. Ma la sola idea che in questo periodo qualcuno possa gioire e'
considerata una dannazione dal successore del capo morto. Ratu Tevita
Vakalalabure, nuovo leader dei clan, ha invocato la maledizione degli squali su
tutti quelli che oseranno sfidare il divieto. «Ordinero' ai pescecani - ha
detto - di attaccare chi si trovera' in mare».
Sono capaci di farlo, gli uomini delle Fiji, spietati come erano i loro
antenati. Prima di diventare gentlemen del turismo danaroso e raffinato, i
fijiani sono stati per secoli feroci cannibali: ora ballano imitando l'aria
truce di allora ma sono ancora capaci di camminare sulle braci ardenti e di
comunicare con gli squali. Esiste un rito, che praticano i Bete, con cui si
chiamano i pescecani incantandoli con una nenia. Nella stagione che chiude
l'anno, i Bete indossano una candida camicia di cotone, il paramento sacro,
conficcano un palo nella barriera corallina, nello stesso buco usato da decine
di anni: in cima legano un pezzo di masi, una stoffa ricavata dalla corteccia,
che il vento agita come una bandiera. Da quel momento, nessuno puo' avvicinarsi
o pescare intorno al palo: per un mese, ogni mattina, il Bete celebra in
solitudine la cerimonia della yaqona, innalza verso il cielo il bilo, un guscio
di noce di cocco trasformato in tazza, e prima di berla santifica la kava, la
radice con cui si fa la bevanda. Finche', nel giorno che gli spiriti gli hanno
suggerito, entra in mare e trasmette agli squali il suo pensiero. E gli squali
obbediscono. Ma la cerimonia e' crudele, perche' spuntano mazze e arpioni e
l'acqua ribolle di schiuma e poi si colora di rosso. Piu' della pieta', la
mattanza conosce il rispetto, e per questo risparmia il capobranco, il
gigantesco squalo bianco che stregato dal sacerdote ha portato gli altri al
massacro: il suo sangue e' sacro, farlo scorrere in acqua sarebbe sacrilegio,
condannerebbe gli abitanti del villaggio alla morte e non farebbe piu' tornare
gli altri squali. La leggenda vuole che il pescecane ricambi la cortesia:
ordinera' ai suoi sudditi di non divorare i pescatori. Ma fedele a chi lo ha
salvato, il Bianco obbedira' anche all'ordine di uccidere. Quello che Ratu
Tevita Vakalalabure e' pronto a dare.
Corrado Ruggeri
Dicembre
1999


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