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Maria Concetta Nicolai - Cento feste contadine per un anno
Le Farchie

Pomeriggio e serata del 16 gennaio - Fara Filiorum Petri (Chieti)

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Fara Filiorum Petri, il cui toponimo riporta ai gastaldati longobardi, si innalza sulla vallata del fiume Foro. I suoi abitanti festeggiano la ricorrenza di Sant'Antonio Abate accendendo le farchie, enormi fasci di canne, come dice anche il nome derivante dalla voce araba afaca (torcia - fascio di canne) con una circonferenza di oltre un metro ed un'altezza che qualche volta supera i dieci.
L'uso dei fuochi per la festa di questo Santo è comune in tutto il Mediterraneo, ma le farchie di Fara si distinguono per l'imponenza delle costruzioni e per il loro numero che corrisponde a quello delle dodici contrade in cui si divide il paese.
La tradizione è inoltre legata ad una leggenda di fondazione che narra che Sant'Antonio Abate avrebbe salvato Fara dall'invasione delle truppe francesi, trasformando le querce di un vicino boschetto in torce gigantesche che spaventarono i nemici.
Qualche giorno prima della ricorrenza ogni quartiere e frazione inizia la costruzione della propria farchia. È uso comune che le canne siano di provenienza furtiva per cui, fin dai primi di gennaio, bande di giovani escono a procurarsi la materia prima, mentre altri provvedono a custodire il tesoro raccolto.
Nelle prime ore pomeridiane della vigilia, le contrade incominciano il trasporto delle farchie verso lo spiazzo della chiesetta rurale dedicata a Sant'Antonio Abate.
Una volta le farchie erano trainate e a braccia o su carri, oggi si usano i trattori, ma l'atmosfera conserva la stessa festosità accentuata da numerosi suonatori di organetto che cantano le orazioni di Sant'Antonio, ossia episodi leggendari della vita del Santo. Giunti davanti alla chiesa le farchie vengono innalzate con l'aiuto di pertiche e funi; infine ha inizio l'accensione tra ripetuti scoppi dei mortaretti inseriti entro i fusti delle canne.
Mentre incominciano a scendere le ombre della sera le farchie accese offrono uno spettacolo indimenticabile, all'interno del quale la gente canta, balla e consuma, in onore del Santo, vino e biscotti. Quando il fuoco ha bruciato quasi tutte le canne, la festa continua in ogni contrada, dove gli abitanti si radunano intorno ai resti della propria farchia e ne raccolgono i tizzoni spenti per conservarli come reliquie per la protezione dalle tempeste e dalle calamità che possono danneggiare i campi coltivati e per segnare gli animali domestici.

Per saperne di più
Emiliano Giancristofaro, Le storie del silenzio, in Rivista abruzzese, anno XLV, n.2, Lanciano 1992
Alfonso Maria Di Nola, Aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino 1985

Come ci si arriva
A 14, uscita Pescara sud - Francavilla. Prendere la Statale 263 della Val di Foro e proseguire fino al paese

A chi chiedere informazioni

 

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