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Viaggi
L'esploratore e la Regina |
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Giovanni Chiarini non aveva ancora compiuto 27 anni l'8 marzo del
1876,
quando la nave che lo avrebbe condotto in Africa, nel regno di
Menelik,
lasciava il porto di Napoli. Con lui c'erano il marchese Orazio
Antinori e
il capitano Sebastiano Martini Bernardi: nella spedizione della
Società
Geografica Italiana ai laghi equatoriali, "la più grande
spedizione
scientifica della nuova Italia" a detta di Cesare Correnti,
presidente
della prestigiosa Società.
Un posto di riguardo era stato riservato al giovane ingegnere
chietino
dallo sguardo acceso, incaricato di studiare la topografia, la
meteorologia
e la geologia di quelle terre lontane, in realtà interessato
anche, e forse
principalmente, agli usi e ai costumi delle infinite tribù che
ancora oggi
compongono il mosaico umano dell'Etiopia.
Giovanni Chiarini aveva solo 30 anni il 5 ottobre del 1879, quando
a Cialla, nella regione del Ghera, in quell'Africa che aveva
sognato, che
aveva imparato ad amare, moriva: forse di stenti, ma più
probabilmente
avvelenato dalla crudele signora di quel piccolo territorio, la
regina Ghennè-fà. Di lui restano i ricordi del compagno di prigionia,
Antonio Cecchi, sfuggito alla morte e autore della monumentale opera
"Da Zeila alle
frontiere del Caffa", e pagine e pagine di studi, ricerche,
schizzi, vivide
testimonianze del suo ingegno e della sua passione per la gente
d'Africa.
Di lui resta anche qualche "via Chiarini" e qualche
"scuola Chiarini",
unici tributi d'Abruzzo a quest'uomo che mai, neanche sul letto di
malattia
prima e di morte poi, si dimenticò di Chieti, della Majella
madre,
dell'Abruzzo.
Dell'avventura africana di Chiarini, avventura umana e
scientifica, ci
interessavamo da tempo io e Claudio Valente, giornalista del
Messaggero.
Sempre alla ricerca di itinerari da rivisitare, avevamo speso
tempo tra
biblioteche vere e virtuali, cercando le tracce lasciate
dall'esploratore.
Tracce trovate, tanto da spingerci verso l'idea di ripercorrerle
fisicamente, calpestando il suolo da lui stesso calpestato,
ricomponendone
le tappe dallo sbarco della spedizione italiana a Zeila, fino alla
morte di
Chiarini a Cialla, e alla sepoltura dei suoi resti ad Afallò,
dove nel 1883
giunse Augusto Franzoj a prelevarli per riportarli, l'anno dopo, a
Chieti.
L'anno giusto per ricordare Chiarini era questo, il 1999: a 120
anni dalla
morte e a 150 dalla data di nascita, 23 giugno 1849.
L'anno giusto per una spedizione composta da abruzzesi per onorare
la
memoria e l'ingegno di un altro abruzzese, grande quanto
dimenticato.
Facile a dirsi, meno a farsi: problemi, intoppi, ostacoli, persino
lo
scoppio della guerra tra l'Etiopia e i cugini eritrei. Poi,
l'entusiasmo di
Gianfranco Conti, fino allo scorso giugno assessore alla cultura
della
Provincia di Chieti, e l'impegno anche finanziario di Pietro
Rosica,
testardo imprenditore di Guardiagrele che dal nulla ha creato
un'azienda,
la Cometa, che oggi ha spazio e numeri in Europa. Grazie a loro,
la
spedizione che nel frattempo aveva trovato un nome ("Giovanni
Chiarini, la
sua Africa") è divenuta realtà.
Sotto i nostri occhi è scivolata l'aspra Africa del giovane
ingegnere.
L'Etiopia, terra affascinante, ma dura, durissima: che sa
conquistare, ma
che oggi come 120 anni fa pretende attenzioni e rinunce. La
progressione
dei chilometri ci ha offerto l'emozione di attraversare province
che
indossano i nomi degli antichi regni: Scioa, Guraghé, Limmu, la
fatale Ghera, il Caffa che Chiarini mai vide, e il cui raggiungimento
avrebbe
rappresentato la vita stessa, lontano dalle grinfie della crudele
Ghenné-fà. E Finfinni, quel villaggio dal grande futuro che
Menelik teneva
assai da conto, come scrivevano Chiarini e i suoi compagni:
Finfinni, oggi
nota come la "città-foresta", Addis Abeba, capitale
dell'Etiopia.
Province, nomi e facce. Le facce dell'Africa Orientale che
Chiarini per
primo descrisse: sottili e nobili di tribù nomadi, rotonde e
curiose di
tribù stanziali. Facce incontrate sulle strade polverose degli
altopiani,
nei silenzi di rifugi e monasteri, tra i canneti e le zanzare del
grande
lago Tana, là dove nasce il Nilo Azzurro, il fiume che ad un
passo dalla
sorgente è già un mito, largo e tumultuoso fertilizzatore di
campi
altrimenti aridissimi. Le abbiamo ritrovate, quelle facce
descritte da Chiarini. E abbiamo ritrovato i luoghi che furono tappe della sua
avventura, tappe felici e meno felici. E' stata un'emozione
grande,
un'avventura che meritava d'essere vissuta , testimoniata da
fotografie
laddove Chiarini usava schizzi per fissare le sue impressioni.
E dunque sì, possiamo dirlo: quell'Africa, la sua Africa c'è
ancora, dura e
seducente, proprio come lui l'aveva descritta. Lui, Giovanni
Chiarini: un
grande esploratore, non solo il nome di una via o di una scuola.
Uno di
quegli uomini cui l'Abruzzo deve molto, ben di più di un
distratto ricordo.
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