|
Una
famiglia in mostra
I Palizzi |
Al
termine di una serie di restauri e di interventi di adeguamento,
riaprono al pubblico le sale della Pinacoteca Civica di Vasto
ospitata nella suggestiva cornice di Palazzo D'Avalos.
Il rinnovato spazio museale, ancora in parte da riallestire,
verrà inaugurato il 24 luglio prossimo con una mostra dal titolo
"I Palizzi", curata dalla dr.ssa Giovanna Di Matteo,
funzionario della Soprintendenza ai Beni Ambientali Artistici e
Storici dell'Abruzzo, dal prof. Cosimo Savastano esperto
dell'Ottocento abruzzese, e patrocinata dal Comune di Vasto.
L'esposizione presenta, in un allestimento nuovo e funzionale, la
sezione più antica della Pinacoteca Civica, costituita dalle
opere di Giuseppe, Filippo, Nicola e Francesco Palizzi donate alla
città dallo stesso Filippo, nel 1898, e da privati.
La mostra, che coincide con la ricorrenza del centenario della
morte di Filippo, vuole documentare e illustrare la feconda
attività artistica dei pittori che, formatisi a Napoli, seppero
presto ricoprire un ruolo d'avanguardia nel campo delle arti
figurative del proprio tempo, apportandovi un contributo
originale. Pur partendo, infatti, dalla comune esperienza del
naturalismo, i quattro fratelli pittori assunsero nell'ambito di
questa tendenza posizioni differenti e precisamente individuabili.
Giuseppe (Lanciano 1812 - Parigi 1888), Filippo (Vasto 1818 -
Napoli 1899), Nicola (Vasto 1820 - Napoli 1870) e Francesco Paolo
(Vasto 1825 - Napoli 1871), provenivano da una famiglia numerosa:
erano quattro di nove figli, educati all'amore per le lettere e
l'arte dal padre, procuratore, che nutriva aspirazioni letterarie,
e dalla madre che amava suonare il piano. I quattro fratelli
inizialmente poterono esprimere le proprie capacità artistiche
nell'ambito familiare, cimentandosi nel disegno, nell'intaglio del
legno e nella modellazione della ceramica. Ma Vasto, tranquilla
provincia del Regno, non poteva offrire molto a dei giovani
talenti e presto si rivelò loro troppo stretta. Essi desideravano
uscire dai propri confini per andarsi a confrontare altrove, con
altri artisti e con i linguaggi figurativi d'avanguardia.
L'esempio più vicino alle loro aspirazioni era allora Gabriele
Smargiassi, pittore vastese, di cui i Palizzi seguivano con
attenzione la brillante carriera che lo portò ad assumere la
Cattedra di paesaggio presso il prestigioso Reale Istituto di
Belle Arti a Napoli.
A partire dal 1836 e a pochi anni di distanza l'uno dall'altro, i
fratelli lasciarono Vasto per stabilirsi nella città partenopea.
Napoli, capitale del Regno Borbonico, rivestiva rispetto al
Mezzogiorno un ruolo centrale nella vita culturale ed artistica.
Era sede del Reale Istituto di Belle Arti nel quale si formavano i
giovani artisti provenienti da tutto il sud e vi si svolgevano
numerose esposizioni patrocinate dai Borbone. Inoltre, alla fine
degli anni trenta dell'Ottocento la città era ancora meta di
pittori e artisti nordici che davano un respiro europeo alla vita
culturale locale.
Il primo ad abbandonare Vasto fu Giuseppe che, entrato come
allievo nel Reale Istituto di Belle Arti, frequentò la Scuola di
Paesaggio diretta dal pittore olandese Antonio Pitloo (1791-1837)
ed aprì la strada a Filippo, Nicola e Francescopaolo
nell'ambiente napoletano. La temperie artistica partenopea era
allora in fermento per via delle idee innovatrici di alcuni
pittori riuniti nella "Scuola di Posillipo", dalla quale
i Palizzi presero le mosse. I pittori posillipiani, tra i quali
notevole rilevanza ebbero Antonio Pitloo e Giacinto Gigante (1806
-1876), influenzati dalle idee romantiche, perseguivano il
rinnovamento della tradizione vedutista del Settecento, ritenuta
artificiosa e convenzionale, in nome di una rappresentazione
paesaggistica più viva, fedele alla realtà. Nel dipingere
direttamente dal vero essi esprimevano la loro posizione polemica
nei confronti dell'insegnamento accademico, della gerarchia dei
generi pittorici e il rifiuto delle composizioni di stampo
neoclassico dal contenuto prevalentemente aulico. Furono proprio
gli esponenti della cultura accademica, fautori delle
rappresentazioni storico-mitologiche di gusto neoclassico, ancora
in auge presso la corte borbonica, ad appellare, con intento
dispregiativo "Scuola di Posillipo" i pittori
innovatori, i quali erano soliti riunirsi in questa località per
dipingere, e dove era facile incontrare stranieri e vendere i
propri quadri. Le loro tele quasi sempre di piccolo formato,
quindi agevoli da portar via, realizzate ad olio o a tempera,
ritraggono in chiave lirica suggestivi paesaggi, costruiti con
macchie di colore, immersi in un'aria libera, ricca di vibrazioni
luminose. I posillipiani tentavano l'aggiornamento della pittura
di paesaggio sulle ricerche estetiche maturate in Europa in quel
tempo, espresse in Francia da Camille Corot (1796-1875) - che fu
particolarmente colpito e affascinato dalla luminosità dei
paesaggi italiani, durante i suoi soggiorni nella penisola - e
dagli artisti della Scuola di Barbizon, cosiddetta dal paese
presso la foresta di Fontainebleau dove, intorno al 1830,
Théodore Rousseau (1812-1867) ed altri artisti si stabilirono per
lavorare a contatto diretto con la natura. Il superamento della
concezione idealizzata della natura era sperimentato anche da
alcuni pittori inglesi, tra i quali William Turner (1775 -1851) e
John Constable (1776 -1837), che seppero rendere con una
particolare sensibilità gli effetti atmosferici osservati dal
vero.
Le prime opere napoletane dei Palizzi oscillano tra una visione
accademica del paesaggio e la concezione romantica dell'arte;
questa si manifesta, soprattutto nelle vedute di Napoli e dei suoi
dintorni, ispirate ad un forte sentimento della natura e ritratte
nelle variazioni luminose delle diverse ore del giorno.
Negli scenari naturalistici i soggetti rappresentati non sono
figure convenzionali, inserite a condimento della veduta, come
accadeva nella tradizione, ma sono figure vere, palpitanti di
vita, che diventano il perno della composizione. Ecco quindi che
le scene si animano di umili pastori e di contadini colti nel loro
agire quotidiano, di pescatori assorti nella luce rosea e calda
del tramonto delle marine napoletane. In queste scelte i fratelli
Palizzi si ispirarono anche alla lezione del pittore russo
Silvestro Scedrin, che soggiornò a Napoli tra il 1820 e il 1830,
le cui vedute anticiparono alcune soluzioni posillipiane.
La stagione propositiva della "Scuola di Posillipo" si
chiuse intorno agli anni '50 quando, sotto l'influenza del
realismo inaugurato dal pittore francese Gustave Courbet (1819
-1877) si diffuse, anche nella penisola, la tendenza ad una
pittura oggettiva, capace di indagare con rigore ottico i soggetti
tratti dalla vita quotidiana e contemporanea. Ma a questo punto i
fratelli Palizzi, come molti pittori italiani, avvertirono la
necessità di recarsi direttamente a Parigi, divenuta importante
centro propulsore di novità e idee in campo artistico, per
aggiornarsi e dare un più ampio respiro alla propria produzione.
Il realismo informa il loro stile più maturo che conferisce
risalto e dignità artistica ai temi campestri ed ai soggetti
umili, ritratti con un'analitica ed acuta adesione al vero.
Giuseppe
Palizzi
Nel 1844 si trasferisce a Parigi dove si aggiorna sulle tendenze
della Scuola di Barbizon. Stabilisce la sua dimora nei pressi
della foresta Fontainebleau, soggetto che ricorre in numerosi
dipinti. L'insegnamento dei pittori di Barbizon lo porta ad
approfondire la resa naturalistica della luce, studiata
nell'alternanza con l'ombra, fra i rami e le foglie della foresta;
un'eco di questo studio si può cogliere, ad esempio, nell'opera I
due pastorelli, ospitata nella Pinacoteca Civica di Vasto. Egli
continua a mantenere, tuttavia, una impostazione classica del
paesaggio, attraverso l'introduzione di grandi quinte arboree che
conferiscono monumentalità alla scena. Durante il soggiorno
francese intrattiene una fitta corrispondenza con il fratello
Filippo rimasto a Napoli, dal quale si fa inviare gli studi di
animali con lo scopo di copiarli ed inserirli nei suoi paesaggi.
Il connubio di soggetti paesaggistici con quelli animalistici gli
arreca il favore della critica. A partire, infatti, dal 1845
comincia ad esporre regolarmente nei Salons parigini, ottenendo
notevole successo. Rientra in Italia nel 1854, ma già l'anno
seguente è a Parigi per partecipare all'Esposizione Universale. I
dipinti di questo periodo risentono dell'influenza del realismo di
Courbet nella stesura a macchie di colore e nella trattazione di
tematiche sociali. L'ultima produzione rivela anche l'adozione di
uno stile pittorico più sintetico che si avvale di colori
bituminosi distribuiti con pennellate rapide e sommarie.
Filippo
Palizzi
Frequenta il Reale Istituto di Belle Arti solo per pochi mesi,
intollerante dell'insegnamento di Smargiassi. Intraprende gli
studi dal vero, ma la sua produzione esita tra il rinnovamento e
l'influenza accademica. I suoi primi dipinti, che trattano
soggetti romantico popolari in un tono ancora neoclassico, gli
fanno guadagnare la stima del re dal quale riceve la commissione
di alcune tele. Grazie al confronto con l'esperienza maturata dal
fratello Giuseppe in Francia, può dare una svolta decisiva al suo
percorso artistico. Decide di recarsi a Parigi in occasione
dell'Esposizione del 1855 e di fare un viaggio in Europa per
aggiornarsi sulle avanguardie. I dipinti di questa fase mostrano
il determinante apporto del realismo che si manifesta
nell'indagine luministica più attenta e nella resa
particolareggiata e meticolosa dei dettagli naturalistici. Il suo
atteggiamento di fedeltà nei confronti della realtà lo porta a
ritrarre con scrupoloso zelo i riflessi dell'acqua, il pelo
arruffato degli animali, soggetti prediletti, fasci d'erba e gli
elementi della natura che ha modo di osservare. Questa spiccata
sensibilità verista si rilevare nel bellissimo dipinto Olanda,
composizione di ampio respiro, ospitato nella Pinacoteca. Dopo gli
anni sessanta sperimenta gli effetti di controluce nelle scene
ambientate negli interni, perlopiù stalle e ovili;
rafforza, inoltre, il chiaroscuro guardando probabilmente alla
pittura napoletana di influenza caravaggesca. Si cimenta anche
nella pittura di storia, realizzando l'Ettore Fieramosca, ora
presso la Pinacoteca Civica, e bozzetti su militari e garibaldini.
Nel 1892 dona circa trecento studi alla Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma, e lascia, nel 1898, un altro gruppo di opere alla
Galleria dell'Accademia di Napoli.
Nicola
Palizzi
La sua produzione inizialmente si concentra su due filoni:
realizza grandi paesaggi di composizione, di gusto più
accademico, da esporre nelle biennali borboniche, raffiguranti
tramonti, uragani, scene immerse nella luce e, nello stesso tempo,
esegue studi dal vero, di piccole dimensioni, stando all'aria
aperta a Cava dei Tirreni, meta preferita anche dal fratello
Filippo, e nei pressi di Napoli. La Pinacoteca di Vasto custodisce
il bozzetto Veduta di Napoli da Mergellina privo di data, relativo
ad un quadro oggi disperso. Il bozzetto è di notevole interesse
perché rivela la grande maturità dell'artista nella pittura di
sintesi, realizzata con macchie di colore, e nell'espressione di
una luce reale. Nicola alterna i soggetti paesaggistici ai temi di
attualità, tratti anche dai fatti di cronaca: si notino Terremoto
di Melfi, capolavoro del 1851 per la cui realizzazione si servì
di disegni realizzati sul posto dopo l'evento ed Eruzione del
novembre 1868, entrambi presenti nella mostra. Un viaggio a
Parigi, effettuato intorno al 1856, gli consente di aggiornarsi
sulle novità della Scuola di Barbizon e di Courbet. Un notevole
punto di arrivo della sua ricerca è la costruzione dello spazio
attraverso la sequenza di piani luminosi, sperimentata negli studi
di rocce, alcuni dei quali custoditi nella Pinacoteca vastese. Qui
si conserva anche Piazza Orsini a Benevento opera di capitale
importanza, che rivela lo studio del connubio prospettiva - luce;
è interessante, inoltre, per la vivacità con cui è resa la
folla e per la caratteristica quinta di case raggruppate a
sinistra che introduce l'osservatore nell'ambiente.
Francesco
Paolo Palizzi
Negli anni napoletani condivide con il fratello Nicola la
predilezione per una pennellata pastosa e costruttiva. I suoi
dipinti si ispirano alla tradizione napoletana della natura morta
seicentesca, genere da cui mutua gli schemi compositivi e le gamme
cromatiche. Notevole è il dipinto Coscia di cinghiale, di grande
semplicità e efficacia. Nel 1846 raggiunge Giuseppe a Parigi dove
rimane ininterrottamente fino al 1870. La mostra di prossima
apertura costituisce il nucleo di partenza di una serie di
esposizioni periodiche allestite in Palazzo D'Avalos e dedicate ai
Palizzi; esse ospiteranno capolavori provenienti da prestigiosi
musei italiani allo scopo di restituire più efficacemente la
statura, il respiro europeo dei pittori vastesi ed un panorama
esaustivo della loro considerevole produzione. Il riallestimento
della raccolta palizziana sarà, inoltre, l'occasione per
esaminare i legami conservati dai Palizzi con la città natale che
verranno approfonditi ed indagati nel corso di un interessante
Convegno di Studi. |
|
|
|