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La  meravigliosa storia
di Fra' Pietro della Lama
e del suo
raggiante Bambino

Per saperne di più:

Francesco Verlengia, Il Santo Bambino di Lama dei Peligni, Mancini, Lanciano 1957;

P. Donatangelo Lupinetti, Per il Secondo centenario del Santo Bambino di Lama, ed. Cattedra Berardiniana, L'Aquila 1961;

P. Donatangelo Lupinetti, La Sanda Natale, CET, Lanciano 1963;

Maria Concetta Nicolai, Calendario contadino. Cento feste per un anno, D'Abruzzo guide, Pescara 1996.


Come si arriva a Lama dei Peligni:

A14, uscita Val di Sangro. Seguire la superstrada fino a Casoli. Da qui proseguire sulla SS 84 per 20 chilometri
D'Abruzzo
TURISMO CULTURA AMBIENTE

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Natus est nobis Puer
A Lama dei Peligni è Natale tutti i giorni.
Qui, dal 1760 il Santo Bambino, giunto dalla Terra Santa, è il Figlio di tutti

Testo di Maria Concetta Nicolai
Foto di Andrea Papa

C'è un paese dove le mamme hanno un figlio in più a cui pensare, i papà un figlio in più di cui essere orgogliosi, i nonni un nipote in più da proteggere e i bambini un fratellino in più con cui crescere insieme. Si tratta di un Bambino speciale, vezzeggiato, teneramente amato, che Lama dei Peligni trova mille occasioni per festeggiare; l'ultima domenica di maggio per ricordarne l'arrivo, il 20 settembre per celebrarne il Patrocinio, a Natale perché è il suo compleanno. In questa occasione, anzi, la festa che nelle altre date, oltre a quelli religiosi, ha anche momenti di esteriorità civile, riacquista una dimensione di spiritualità familiare con la concessione della Indulgenza a quanti visitino, devotamente e alle condizioni prescritte, il suo altare, dal 24 al 31 dicembre. Dal 1760, quando Fra' Pietro Silvestri lo depose sull'altare della chiesa di San Nicola, ravvolto in fasce rosse come si addice ad un piccolo Re, i lamesi non trascurano giorno per ricordarsi del loro Santo Bambino: si può dire che ne veglino il respiro con affettuosa attenzione, e che nessuno, passando per la piazza su cui si apre la chiesa, sia una donna di casa con la spesa quotidiana, un ragazzo che torna da scuola, un uomo che va a lavorare, non ne varchi l'ingresso per dare un'occhiata, fosse pure necessariamente frettolosa, a questo Neonato così potente e così indifeso che sorride dal suo bel lettino d'argento posto sul capoaltare, cullato sì dagli angeli, ma soprattutto dal pensiero di tutto il suo popolo. L'affetto, perché più che di sola devozione, proprio di questo si tratta, dei lamesi per il Bambino fu un sentimento immediato e a prima vista. Nel Natale 1761, appena un anno dopo il suo arrivo, in suo onore furono celebrate più di ottanta messe, tra cui "una cantata di una benefattrice della Fara", il che fa supporre che la sua fama avesse già valicato i confini del paese. Non mancarono inoltre, litanie, vespri e novene. La devozione del periodo natalizio, durante il quale il Santo Bambino veniva esposto alla venerazione dei fedeli, crebbe ancora di più nel 1771 con la concessione dell'indulgenza ad septemnium da parte di Papa Clemente XIV.
Le ragioni della diffusione del culto del Santo Bambino di Lama dei Peligni non solo tra il popolo, ma anche tra la nobiltà colta del chietino, vanno individuate, secondo Francesco Verlengia che di queste memorie patrie fu attento e illuminato ricercatore, in modo generale nel Settecento letterario che elesse l'Infante divino protettore dell'Arcadia e in particolare nell'azione dell'arciprete Fata pastore della Colonia Tegea, fondata dal marchese Federico Valignani.
Anche le feste di maggio acquistavano sempre maggiore solennità, come attestano i libri di amministrazione, tenuti dai vari procuratori, con le note di introito e d'esito pertinenti alla celebrazione della ricorrenza. Se le offerte erano generose da parte di benefattori di tutta la Valle dell'Aventino, di contro gli organizzatori non badavano a spese, chiamando predicatori e celebranti illustri come, nel 1777, Appiano Buonafede, abate dei Celestini nella Badia di Sulmona e filosofo arcade con il nome di Anneo da Faba Cromaziano o nel 1802 don Domenico Romanelli, archeologo e storico.
Al riguardo un aneddoto di tradizione orale, raccolto da Antonio De Nino, assicura che persino Ottavio Colecchi, studioso e traduttore di Kant, giunse da Pescocostanzo per pronunziare un dottissimo e commovente panegirico per il Santo Bambino. Le feste, oltre che dalle funzioni liturgiche e religiose, erano caratterizzate dall'accensione di fuochi notturni di gioia, per i quali si provvedeva all'acquisto "di legna e frasche" in notevole quantità, ma anche dalla presenza di musici e suonatori di vario livello che andavano dal "maestro di cappella, quattro voci, cinque violini, quattro bassi e due trombe" giunti da Sulmona, ai pifferi e tamburi per le marce processionali, fino ai sette zampognari di Scapoli che dovevano essere proprio bravi se ricevettero un compenso di un ducato e quindici soldi.
Gli anni successivi sono tutti un succedersi di avvenimenti: nel 1778 il Santo Bambino fu riposto in un'urna trionfale di legno scolpito e dorato, eseguita da Francesco Conti di Sulmona per la considerevole somma di 20 ducati, nel 1780 Pio VI legò alle feste di maggio ulteriori indulgenze, nel 1826 fu murata nella parete orientale della chiesa, dove ancora si trova, una edicoletta per le elemosine, in pietra scolpita, su disegno dell'architetto lamese Giovanni Antonio di Crescenzo. Nel 1845 Raffaele di Renzo, ricco industriale laniero, aiutato dagli operai della sua fabbrica, che  offrirono una settimana di paga ciascuno, dotò il Bambino di una preziosa urna d'argento in stile neoclassico e  lo rivestì con una elegante fascia di seta bianca, ricamata d'oro, e con una graziosa cuffietta. Le fasce antiche che, secondo la leggenda erano state donate da una nobildonna veneziana per grazia ricevuta, da allora furono usate come reliquie nelle gestazioni e nei parti difficili, portate di casa in casa nei momenti di bisogno. Logorate dall'uso, se ne è persa ogni traccia.
Nel 1854 fu istituita la festa del 20 settembre per ricordare la liberazione del paese dal colera, per intercessione del piccolo Protettore al quale, in seguito gli operai lamesi dedicarono l'altare che attualmente accoglie la statua di San Cesidio.
Nel 1906, infatti, gli emigrati d'America fecero erigere l'attuale altar maggiore e l'edicola di marmo entro cui fu riposta l'urna, alla quale, nel 1896, avevano aggiunto una immagine simbolica, in argento massiccio, dello Spirito Santo, circondato da una raggiera che reca, incisi su ogni stecca, i nomi degli offerenti.
Durante la seconda guerra mondiale il Bambino, che già all'epoca dell'invasione francese aveva corso  il pericolo di razzie, fu salvato dallo scoppio di una mina nella piazza del paese da un gruppo di devoti che, a rischio della vita, lo nascosero in un pozzo. Dalla fine del conflitto il Santo Bambino, insieme alla bolla di autentica e ai documenti che testimoniano il profondo affetto di tutti i lamesi, è tornato nella chiesa di San Nicola.

 

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