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Per Antonino Liberi la Pineta doveva diventare una città-giardino
con
Infatti
se da un lato, nel 1862, il passaggio della strada ferrata ne
aveva, se non proprio compromesso, almeno dimezzato l'estensione,
dall'altro ne aveva sfatato la leggenda di area malsana e paludosa
che da secoli caratterizzava il sito, dimostrando concretamente la
possibilità di pervenire ad una bonifica pressocché totale.
Erano anni in cui Pescara decideva di estendere i confini e di
crearsi una vocazione turistica e balneare per stare al passo con
la vicina e ancora rivale Castellammare che, scendendo dai Colli,
andava allineando strade e case lungo il litorale, riservando alla
striscia pianeggiante, tra spiaggia e altura, lo spazio per le
filande e le fabbriche. In nome del segno dannunziano a cui tutti
sembravano, se non altro per il comune luogo di nascita,
partecipare, amministratori e intellighentia dell'epoca pensavano
di costruire una Pescara raffinata e luminosa, moderna e
aristocratica, il posto ideale per gente che, sistemato l'aspetto
economico, avesse tempo e disposizione a coltivare i piaceri dello
spirito.
Per
fare questo era necessario spostare il baricentro urbano oltre il
nucleo storico, tutto gravitante intorno al campanile di San
Cetteo e alla casa del Vate, affidando però il compito di
conservare l'unità culturale del luogo ad una estesa temperie di
memorie letterarie. Il sogno di una città-giardino, nel cuore
più che nella mente degli amministratori di allora, non aveva le
dimensioni familiari e piccolo-borghesi che Castellammare andava
coltivando, ma quelle inimitabili dello stile dannunziano. Mentre
progetti e piani regolatori cominciavano a delineare i primi
aspetti dell'impresa, si offrì una circostanza propizia per dare
visibilità - direbbero oggi i linguaggi della communicazione
mediatica - alla Pineta.
Il 22 giugno del 1904 d'Annunzio tornava in Abruzzo per la
centesima rappresentazione della "Figlia di Iorio", da
tenersi a Chieti il giorno successivo. Il 24 giugno, fatale
ricorrenza di quel "Santo Giovanni che in mezzo al verde mi
venne a fedire" Pescara in onore del figlio illustre che
"con la sua gloria ha celebrato anche il nome della sua
città natale", si inventò un banchetto agreste in mezzo al
verde della Pineta. Tra i cento invitati non mancavano gli amici
di sempre Francesco Paolo Michetti e Filippo De Titta, i sindaci
di Pescara e Castellammare, tutti i soci del Circolo Aternino che,
negli anni a venire, mitizzarono l'evento di cui erano stati i
principali promotori in innumerevoli discorsi e commemorazioni.
D'Annunzio, da par suo, nel lasciare il convito, a chi accennava
alla tristezza dell'imminente addio, definendo quella la
"festa della poesia e dell'amore", profetizzava:
"fra cento anni saremo viventi tra i posteri". Quale
migliore augurio per popolare di eroiche memorie il cuore della
città giardino? Da quel momento la
Pineta divenne dannunziana e cominciò a prendere forma specifica.
In occasione delle feste di San Cetteo, il 7 agosto 1910 si
inaugura il Kursaal con quanto di più spettacolare si potesse
immaginare per raccogliere tutta la bella gente d'Abruzzo: due
assi mondiali dell'aviazione, tra gli altri, Freye su un biplano e
Barrier su un monoplano, sono i principali protagonisti di uno
spettacolo pioneristico di esibizioni aeree. I velivoli che
partivano da una pista improvvisata tra la Provinciale per
Francavilla e la spiaggia, si impegnavano in gare di abilità nel
raggiungere la massima altezza per poi ridiscendere
acrobaticamente in basso. Il biglietto di ingresso al prato
costava una lira, quello per la tribuna A, attigua ai posti
d'onore, costava cinque lire, ma permetteva un'ottima visuale
dell'hangar e una strategica vicinanza al buffet. Passata la festa
e ottenuto il successo, si prese a lottizzare il terreno in vista
di un quartiere residenziale, senza dimenticare Gabriele
d'Annunzio, in onore del quale si allestì, sempre alla Pineta, un
secondo banchetto. Ma l'idea che a tutti parve geniale fu quella
di offrirgli più di un ettaro di terra boschiva affinché, come
scrive nel suo "Pescara nei secoli" Luigi Lopez,
"vi costruisse una sua casa che sarebbe stata arredata a suo
gusto, attraverso una sottoscrizione nazionale. Ma il poeta tra
garbo e sgarbo, rifiutò l'offerta, facendo sapere che non gradiva
doni di alcun genere, che lui bastava a se stesso e che voleva
vivere dove a lui piaceva". Ma d'Annunzio era d'Annunzio ed
andava accettato comunque. Il rifiuto non offese più di tanto i
pescaresi che continuarono a dannunzianeggiare la Pineta
allestendovi nel 1912 una storica rappresentazione della Figlia di
Iorio.
L'accesso al nuovo quartiere fu favorito da un tram a cavalli che
partiva da via Conte di Ruvo, proprio davanti a Palazzo Oliva, con
un numero di corse considerevole per quei tempi. La Pineta, facile
da raggiungere, cominciò a diventare nella cultura pescarese un
abituale luogo di ritrovo e trattenimento festivo, per una specie
di familiare gita fuoriporta. Il sito del resto era di piacevole
frequentazione, bello e adatto ad elevare lo spirito. La
dimensione spirituale fu colta da Padre Domenico Maria d'Amico da
Sant'Eufemia a Maiella, un umile ma determinato fraticello di San
Francesco che vi immaginò con una arditezza, che però ben si
coniugava con la filosofia globale della Città-giardino, una
grande chiesa e un grande convento dedicati a Maria Stella del
Mare. Il progetto, sposato subito da Antonino Liberi diviene
ancora più vasto: accanto alla chiesa e al convento sorgerà un
Centro di alti studi religiosi, ma anche di arte e di scienza con
locali per convegni, biblioteca specialistica e museo.
L'attuazione richiede, oltre che una visione avveniristica della
città, anche notevoli mezzi e altrettanto notevoli tempi; il 12
dicembre 1921 il Consiglio comunale cedette al frate quattromila
metri quadrati, la prima pietra fu posta il 21 agosto del 1922 e
la fabbrica andò avanti alacremente, tanto che, almeno la chiesa
nel 1936 era a buon punto.
Intanto nel 1934 il tram a cavalli era stato sostituito da uno
elettrico che collegava il mare all'entroterra vestino, il
cosidetto trenino Pescara-Loreto Aprutino-Penne, un mezzo di
trasporto mitico per tanti pescaresi fino al 20 giugno 1963,
quando fu sostituito da un forse più confortevole, ma meno
avventuroso autobus giallo. La guerra piombata su Pescara con i
bombardamenti aerei interruppe il sogno di Padre Domenico e quando
si riprese a costruire il progetto fu molto ridimensionato.
Bisognò bonificare la chiesa dalle mine e riparare i danni, ma
nel 1948 la cripta di Maria Stella del Mare, poteva accogliere le
spoglie del fraticello che non aveva potuto vedere avverate le sue
speranze. Ora i pescaresi andavano la domenica alla Pineta anche
per pregare sulla tomba di un Santo e per ascoltare la messa nella
chiesa che questi aveva voluto. La città-giardino riprendeva a
vivere e a crescere nelle speranze di tutti. Perché allora non
riproporre la Figlia di Iorio? Molti ricordano ancora la
insuperata messa in scena del 1949 con Elena Zareschi e Salvo
Randone.
La Pineta, definitivamente dannunziana, tornò ad essere la meta
comune della gente di Pescara che, intanto si era ingrossata
assorbendo quella di Castellammare e dei Colli. La temperie che
quella colorata moltitudine festiva animava forse era un po' meno
aristocratica di come era stata pensata cinquant'anni prima, ma
comunque sempre piena di opportunità e di sorprese. Se il kursaal
era stato trasformato in Stabilimento Aurum per la preparazione di
profumatissimi liquori e confetture, c'erano ancora i viali
alberati, i sentieri salubri, le rotonde per ballare con tanto di
orchestrina, il caffé concerto, i campi di bocce e gli spazi per
la merenda dei bambini. Il trenino aveva ripreso le sue
affollatissime corse; d'estate per i bagnanti giornalieri che
scendevano da Penne, da Loreto, da Cappelle, d'inverno per un
turismo più autoctono, ma assai variegato. In allegra
spensieratezza, di mattina, sbarcavano gli studenti filonari,
magari a leggere la "Pioggia nel pineto" che, giova
dirlo, fu scritta, dall'immaginifico Gabriele per quella
versigliana; ci andavano le mamme con i bambini, i pensionati a
giocare a bocce e a leggere il giornale. Il sabato ci andavano, in
fila con il grembiulino bianco gli scolari dell'Istituto Ravasco,
tutti con il cestino della merenda che allora era pane e
marmellata e una mela, tanto che il sogno proibito dei più grandicelli
era una bottiglia di gazzosa con la biglia di vetro. I più
piccoli come il nostro Luciano
D'Angelo