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D'Abruzzo

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Viva e cruda
Casalincontrada ha deciso di seguire un proverbio popolare inglese che dice che a una casa di terra, per attraversare i secoli, bastano un buon cappello e dei buoni stivali. E cosi' una tradizione che sembrava persa nella memoria dei vecchi ritorna a guardare il futuro

Testo di Gianfranco Conti Foto di Gaetano Basti

L’attività di ricerca sulla presenza dell’architettura del crudo in Abruzzo, evidenzia come negli ultimi quindici anni la distruzione delle case di terra sia avvenuta a ritmi più elevati che in passato.

Da un’indagine dell’Istituto Centrale di Statistica del 1934, si rivela come questi manufatti costituissero il 20% del patrimonio edilizio rurale abruzzese; su un totale di 10.0000 abitazioni rurali, infatti, ne sono costruite in terra: 780 nella provincia di Pescara, 755 in quella di Teramo, 683 in quella di Chieti. Oggi non sono che episodi isolati nella campagna o unici elementi sopravvissuti miracolosamente alla colata di cemento delle nostre periferie.

I processi di abbandono e di sostituzione degli edifici in crudo, già avviati negli anni ’50 e ’60, in concomitanza con la cosiddetta deruralizzazione, si intensificarono con la periferizzazione della campagna fino a raggiungere livelli difficilmente recuperabili.

Da ciò è facile desumere che le aree interessate da questo patrimonio architettonico in terra cruda, in Abruzzo come nei territori marchigiani a nord del Tronto, sono notevolmente diminuite.

La causa prevalente della diffusione delle case di terra è individuabile nelle profonde modificazioni della struttura agraria e fondiaria del territorio avvenute a metà del secolo scorso, allorquando la divisione delle proprietà, la maggiore sicurezza delle campagne, portò alla diffusione delle abitazioni sui fondi anziché in nuclei localizzati e lontani dai campi.

L’odierno paesaggio rurale è ancora testimone di questo processo di colonizzazione; le costruzioni si diffondono privilegiando i crinali, la sommità delle colline e la posizione di pendio. Le case di terra difficilmente si organizzano in nuclei.

La costruzione con la terra non fu che una scelta obbligata per le caratteristiche, difficilmente eguagliabili, di reperibilità ed economicità che questo materiale offriva; il fenomeno che ne scaturisce è quello dell’autocostruzione.

Vale qui la pena ribadire che l’abitazione in terra non genera una tipologia edilizia particolare ma si ispira al patrimonio insediativo già consolidato nel tempo. Sono due i tipi prevalenti: la tipologia a blocco ad elementi trasversali ad un piano, che nasce per elementi aggiunti in tempi successivi; la tipologia definita "italica", propria della casa mezzadrile in laterizio, che sovrappone, collegandoli attraverso una scala esterna, l’abitazione al rustico. Inoltre detta sovrapposizione testimonia, nella volontà di limitare lo spazio, una derivazione da tipologie urbane dove questa necessità era più sentita assumendo anche l’elemento della scala interna. Pur se rare, abbiamo tipologie a pianta quadrata con caratteri dimensionali più elevati.

Le case di terra quindi non possono essere considerate costruzioni primitive ma frutto di un’integrazione istintiva fra necessità economiche, tradizioni tipologiche e tecnologie edilizie.

Tutti questi passaggi fanno dell’abitazione in terra cruda un elemento primario di caratterizzazione del paesaggio agrario ma nello stesso tempo inducono un processo di straniamento in senso socio-culturale.

La terra, quale elemento primario, non regge il confronto con la solidità morale affidata dalla comunità al laterizio ed alla pietra.

È necessario riattribuire, nell’uso quotidiano, valore e significato alla terra come materiale da costruzione, non essendo sufficiente una sua collocazione nella sola memoria. Questo passaggio è indispensabile per superare l’immagine negativa di miseria arretratezza ed emarginazione economica e sociale cui è legata la casa di terra nella nostra cultura, e che la campagna ha mantenuto fino agli anni ‘50.

Appare significativo in tal senso riportare un passo del capitolo "Passato-presente-avvenire" contenuto nella Guida dell’Abruzzo di Enrico Abbate - Club Alpino Italiano - 1903 in cui uno scrittore abruzzese del 1848 così descrive le abitazioni rurali di quel tempo: "Le case di campagna poi nel maggior numero, anguste e cadenti, raramente costruite a pietra, più spesso impastate di creta e paglia, tutte ad un piano, sempre senza impiantito, ricoverano gli uomini insieme alle bestie in mezzo al lezzo ed alla mota. Lungo le ridenti spiagge dell’Adriatico, di case consegnate in quel modo ve ne era una grande quantità".

In questi ultimi anni non sono mancati convegni e mostre che però non sono riusciti ad andare oltre il momento della riscoperta, l’ultimo nel settembre del 1997 a Casalincontrada ha avviato un’inversione di tendenza.

Infatti, l’atteggiamento prevalente vede sempre in prospettiva un utilizzo museale, una sorta di museo all’aperto, parco della memoria contadina, che nella sua accezione più innovativa lega alla valorizzazione culturale l’uso turistico (case vacanza) di tale patrimonio.

Rispetto a questa indicazione, prospettata in varie occasioni, nessun passo in avanti significativo è stato compiuto.

Considerando le difficoltà di attuazione, sia rispetto alla diffusione sul territorio che al valore dei manufatti ed alle relative difficoltà di gestione, risulta evidente come un simile progetto non sia mai stato realizzato.

Occorre modificare l’approccio sin ora adottato nei riguardi delle case di terra per ottenere qualche risultato concreto, risolvendo anche la contrapposizione fra la volontà di assimilarle al quadro d’insieme dei beni culturali ed il fatto di porle sempre al di fuori dei canoni che definiscono tali beni.

Altre motivazioni sono necessarie per salvare le case di terra, per ritrovare utilità nel conservarle, considerandole un patrimonio per il quale spendere energie e capitali, non essendo sufficiente il richiamo, l’appello, alla volontà di una comunità di impossessarsi del proprio passato.

In questo è il limite della prospettiva museografica che può essere solo parziale ed isolata ma non generalizzabile.

L’assenza di un censimento, di una catalogazione, di un riconoscimento di valore in tal senso, fa sì che questa risorsa non trovi una propria collocazione e quindi non abbia una capacità di proporsi come bene da tutelare.

Questa constatazione ha aperto una seconda fase nella riflessione sul fenomeno della costruzione a crudo: va considerata esaurita la fase della riscoperta e delle considerazioni nostalgiche.

La ricerca di ulteriori motivazioni quali in particolare quelle che ricomprendono l’uso della terra nell’ambito della cultura ecologica dell’abitare, può consentire di rivalutare l’aspetto della tutela ed aiutare a ridefinire il problema del recupero e della valorizzazione del crudo all’interno delle categorie proprie dell’architettura e della storia degli insediamenti.

Questa riattribuzione di senso, associata ad una visione ecologica del fenomeno, è da ritenersi indispensabile per rinnovare una prospettiva che vada oltre l’aspetto del recupero e della valorizzazione del solo esistente.

Bisogna paradossalmente scommettere sulla terra, anche, in quanto materiale da costruzione. È una visione necessaria a concretizzare il problema e quindi a legarlo agli aspetti normativi, tecnologici, igienici, economici e sociali che l’uso della terra cruda pone come nessun altro materiale. Solo una forte contestualizzazione, oltre i valori ecologici, è in grado di far uscire il crudo dal confine della marginalità quale fenomeno avulso dai processi di trasformazione del territorio.

La storia di questi insediamenti legata all’economia ed al paesaggio rurale si associa alla trasformazione della prima periferia che nel tempo si espande secondo regole proprie dei nuclei urbani.

Sono noti i primi risultati del censimento e catalogazione delle case in terra avviato dalla Provincia di Chieti nell’ambito dei tematismi riferiti al Piano Territoriale. L’area di indagine comprendeva quelle già note di otto Comuni (Bucchianico, Casalincontrada, Chieti, Ripa Teatina, Roccamontepiano, San Giovanni Teatino, Villamagna e Torino di Sangro).

Gli edifici individuati sono stati 299 di cui il 15% ancora abitati. Sono tre gli scenari in cui si collocano le case di terra a seguito dell’indagine: il primo è quello cittadino rappresentato da Chieti, la città capoluogo di provincia con 84 edifici censiti di cui otto abitati; il secondo quello rurale rappresentato da Casalincontrada con 124 edifici censiti di cui 30 abitati; l’ultimo quello sopravvissuto di Torino di Sangro con un edificio censito. Già questa prima area di indagine si è arricchita con ulteriori segnalazioni di presenze sopravvissute a Orsogna, Crecchio e Castelfrentano.

In un ambiente cittadino come Chieti, vi sono case in terra che inglobate nella espansione della città sono difficilmente riconoscibili non solo per il loro stato di degrado e di mimesi ma soprattutto per il vuoto di conoscenza che si ha di questo fenomeno.

All’interno degli isolati restano come elementi puntuali che solo la frammentazione della proprietà in tantissime sub particelle, frutto di innumerevoli frazionamenti, ha salvato da interventi di sostituzione edilizia.

In un ambiente più vicino alla tradizione contadina, ovvero nel piccolo paese, Casalincontrada "la casa a terra" mantiene la propria identità legata, soprattutto, alla conoscenza tramandata dagli originari abitanti e costruttori; qui la casa isolata conserva meglio il suo rapporto con i campi laddove, però, non è compromesso, analogamente alla periferia urbana, dal crescere disordinato delle contrade, omogeneizzate ed anonime, e della zonizzazione indifferente dei piani urbanistici .

Il destino di queste architetture può evolvere favorevolmente se esse vengono inserite in un tentativo di rilettura della espansione della periferia urbana, per meglio evidenziare l’equivoco rapporto tra città e campagna. Una reinterpretazione che deve giocare su un artificio: la casa di terra divenuta suo malgrado cittadina. Essa diventa così lo spunto per riflettere sulla inevitabilità dei processi di trasformazione e di espansione della città e sulla avvenuta perdita di rapporto con l’esistente.

L’approvazione della Legge Regionale n.17/97, "Disposizioni per il recupero e la valorizzazione delle capanne a tholos e delle case di terra cruda", di fatto consente il passaggio da una fase di mera enunciazione del problema ad un’altra di effettiva sperimentazione. Uno degli scopi della Legge è quello di predisporre un apposito censimento ed una schedatura per l’adozione di specifiche normative per il loro recupero. Questa attività è in corso di attuazione e permetterà, completandola, la conoscenza e la consistenza del patrimonio immobiliare in terra cruda esistente sul territorio regionale. Occorre comunque evidenziare le perplessità ed i margini di incertezza interni a detto articolato, che così come formulato potrebbe ingenerare seri limiti di approccio alle tematiche poste dai manufatti edilizi in terra cruda.

La Legge Regionale, infatti, sembra considerare il solo aspetto del recupero e della valorizzazione dell’esistente, tralasciando uno dei presupposti fondamentali e cioè la connessione con la bioarchitettura e con l’uso della terra all’interno della cultura ecologica dell’abitare ampliando la prospettiva dell’uso della terra per la realizzazione di nuove costruzioni; ulteriori perplessità destano le indicazioni normative contenute nelle disposizioni dell’art.2, le quali appaiono consentire interventi di "prima rifunzionalizzazione" ricomprendendoli nell’ambito della ristrutturazione che, se interpretata ed applicata nei limiti delle relative vigenti leggi in materia, potrebbe condurre alla completa perdita di identità e riconoscibilità di tale prezioso patrimonio edilizio.

Inoltre non appaiono essere affrontate le problematiche collegate agli strumenti di intervento necessari per semplificare le procedure di accessione alla disponibilità del patrimonio edilizio abbandonato e i cui proprietari molto spesso risultano irrintracciabili; altresì dovrebbero essere esaminate le questioni relative alle incentivazioni, le quali andrebbero estese non solo agli aspetti economico-finanziari ma anche ai parametri urbanistico-edilizi e ciò al fine di consentire possibili scomputi volumetrici nella realizzazione dei nuovi edifici.

A questi limiti, tra l’altro, si somma l’arretratezza culturale nell’approccio all’uso e al riuso dei materiali da costruzione. Infatti se le problematiche connesse agli interventi edilizi prefigurati dalla legge, in particolare gli aspetti di tipo tecnologico, statico, igienico e sismico, dovessero essere verificate con le vigenti norme in materia non ci sarebbe una piena compatibilità con l’uso della terra cruda.

Dette problematiche vengono fatte rilevare per consentire una più attenta riflessione e per facilitare il superamento di preconcetti di ordine culturale, sociale, tecnico-giuridico-edilizio, che potrebbero risultare fatali per qualsiasi azione di recupero o nuova edificazione in crudo e svuotare di fatto le buone intenzioni contenute nella Legge Regionale.

In definitiva, appare opportuno ed auspicabile aprire una nuova fase che significherà in sostanza scommettere sull’avvenire della terra cruda.

 

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